Ipotesi Pragmatica
L’Ipotesi Pragmatica o Pragmatismo è quanto ha ideato il filosofo e matematico americano Charles Sanders Peirce (1839-1914), considerato il fondatore della semiotica americana e responsabile appunto del Pragmatismo, una teoria del significato del linguaggio e del pensiero.
Per riassumere con sufficiente esattezza anche se molto brevemente la sua opinione sul linguaggio di parole, viene qui citato quanto costituisce la base essenziale del suo Pragmatismo sviluppato successivamente da vari pensatori i quali tutti contribuirono e contribuiscono a screditare la capacità del linguaggio di esprimere concetti scientifici, oggettivi. Dunque Peirce considerò il linguaggio come “a confused form of thought, whose only meaning, if it has any [!], lies in its tendency [to produce an action]” (Peirce 1931/51/98: 5, 15), ossia come “una confusa forma di pensiero il cui unico significato, se ne ha uno [!], sta nella sua tendenza [a produrre un’azione]”. In genere, anche se non sempre, i matematici, grazie al loro abito mentale relativo a valutare la realtà attraverso calcoli numerici, considerano il significato del linguaggio molto impreciso. E certo il linguaggio non ha precisione evidente come quella inerente ai numeri, perché non è un numero né può essere ridotto a numero. In ogni caso, è l’uso del linguaggio che può essere, in chiunque, molto impreciso. In altri termini: non è il significato del linguaggio ad essere impreciso, sono appunto gli utenti che possono essere imprecisi e spesso lo sono. Se il linguaggio fosse qualcosa di confuso, non si sa davvero come potrebbe stimolare un’azione non altrettanto confusa e per altro pare di fatto che l’ipotesi pragmatica altro non faccia che esprimere in termini più moderni l’arcaico concetto relativo alla maledizione della Torre di Babele (Mascialino 2011). In aggiunta, Peirce si lamentò sempre per avere avuto durante tutta la sua vita le più grandi difficoltà nell’espressione linguistica, soprattutto nell’espressione di concetti logici. Molto verosimilmente proiettò inconsciamente questa sua situazione, senz’altro degna delle sue sofferte lagnanze, nella sua ipotesi sul significato linguistico, ciò con le conseguenze di aver prodotto un’ipotesi infelice rispondente alla sua dichiarata insufficienza nell’esprimere concetti esatti, idee chiare e distinte. Per concludere il cenno, fondamentali concetti della sua Ipotesi Pragmatica sul linguaggio sono sinteticamente i seguenti: 1. il significato del linguaggio non avrebbe oggettività universale, ma esprimerebbe la soggettività di ciascun individuo; 2. il significato del linguaggio dipenderebbe dalle esperienze e dalle abitudini di vita di ciascun individuo e dal suo modo soggettivo di valutarle; 3. il linguaggio avrebbe qualche effetto, del tutto soggettivo anche questo, sull’azione.
Con questa lente, che distorce la forma ed il senso del linguaggio, l’equivoco semantico viene posto al centro del linguaggio squalificando il valore di quest’ultimo. Occorre ribadire ancora che la matematica stessa come l’hanno prodotta gli umani è stata prodotta in quanto tale grazie alla presenza del linguaggio di parole, senza il quale gli umani non sarebbero andati oltre al livello intuitivo della matematica in possesso degli animali non parlanti, né più e né meno, ossia sarebbero rimasti animali non parlanti quali erano prima di parlare con il loro linguaggio fatto di parole. A causa dell’accettazione acritica fornita dal Pragmatismo nell’interpretazione del significato convogliato dal linguaggio, il significato delle opere letterarie prodotte dai grandi autori, ma anche in diversa misura da quelli cosiddetti minori, viene ruspato via e l’arte letteraria si impoverisce fino a diventare un trastullo per passare il tempo ozioso, per cercare un’evasione dalle incombenze del reale, per trovare un modo di fuggire dalle maglie degli obblighi che il quotidiano ci impone, un gioco quindi di poco senso. Con il Pragmatismo comunque non solo il linguaggio perde di valore, ma l’arte stessa letteraria si svuota di significato e perde la sua ragione di essere, ragione di essere che essa ha invece in sommo grado. In ogni caso, adoperando lo strumento esegetico offerto dal Pragmatismo nessuno può capire alcunché della più straordinaria amica degli umani, la fantasia, che nelle opere letterarie, nella poesia, sia essa in versi o sotto forma di narrativa in romanzi e racconti o drammi e tragedie, trova un suo apice e tanto più nelle opere di un autore del calibro di Franz Kafka, come lo ha definito Rita Mascialino (2008): “il re del significato”.
Può sorprendere che un’ipotesi sviluppata sotto un presupposto tanto assurdo, che mette in dubbio o esclude addirittura che il linguaggio possa avere un significato se non nella totale confusione di idee, abbia potuto e possa ancora avere tanto successo da essere la base di tutte le ipotesi sulla ricerca del significato linguistico, considerato un significato di serie B rispetto alla precisione del linguaggio matematico fatto di numeri. Questo è potuto accadere e continua a poter accadere soprattutto grazie al grande prestigio di cui godono, del tutto giustamente, i matematici e i fisici nella società umana, per cui le opinioni di questi anche se riguardanti argomenti che esulano dallo specifico ambito matematico vengono prese in considerazione senza alcuna esitazione sia da studiosi che da lettori comuni per quanto ne leggono su giornali, libri, o ne sentono dire in conferenze. Certo, le opinioni di persone tanto eminenti e utili all’umanità vanno tenute in considerazione, ma direi che è forse comunque più prudente attenersi molto strettamente alla posizione socratica secondo la quale nessuno è esperto in ogni ambito. In caso contrario si può cadere vittime della fallacia logica più pericolosa e dannosa, quella detta dell’argumentum ad verecundiam o argumentum de auctoritate (Petrus Hispanus 1230 in DE RIJK 1972), la fallacia che fa prendere per vero tutto quanto venga detto dalle persone illustri in qualsiasi ambito senza che vi sia il bisogno di valutarne la validità. Socrate la pensava appunto molto diversamente ed aveva al mio giudizio ragione. Secondo questo genio dell’umanità, condannato a morte in Atene da rappresentanti e seguaci del pensiero religioso attorno al 399 a.C. all’età di circa settant’anni, perché avrebbe insegnato ai giovani a non rispettare il culto degli dei della città, secondo questo filosofo dunque ciascuno era abile, se lo era, in un ambito solo, quello in cui si era in un modo o nell’altro specializzato ed aveva ottenuto competenza, mentre quando usciva da quell’ambito pensando che l’essere abile in qualcosa lo rendesse abile in qualsiasi altra, in genere falliva miseramente l’impresa – nella breve esistenza di ciascuno non c’era già all’epoca malgrado le minori conoscenze e non c’è a maggior ragione neanche oggi il tempo di divenire tuttologi.
Inoltre, la libera invenzione dei significati da parte dell’interprete pragmatico, studioso o lettore che sia, come già accennato, non costa soverchia fatica, certo non comporta la fatica dell’analisi, della verifica e della falsificazione, per cui l’Ipotesi Pragmatica si è potuta diffondere accettata felicemente ovunque. Il fatto è che i testi letterari sono già stati inventati dagli autori stessi e non serve che vi si aggiunga l’invenzione degli interpreti che a nulla serve se non a produrre o ad aumentare la confusione attorno al significato convogliato dal linguaggio, specificamente dal linguaggio letterario. E la produzione letteraria, del tutto inutile se interpretata pragmaticamente, ha al contrario la più profonda giustificazione proprio nel filone tracciato dall’evoluzione che sta alla base della simbologia più profonda espressa dal linguaggio, argomento che è sviluppato in molti studi della Mascialino, tra cui nello studio La memoria dell’arte (Mascialino 2001) cui si rimanda, oltre che nella teorizzazione dell’Ipotesi Spaziale – vedi anche l’articolo specifico nella Sezione Congressi, articoli e conferenze.
Rita Mascialino