Franz Kafka, il nazismo e la lingua tedesca

Le sorelle di Franz Kafka morirono tutte e tre nei campi di sterminio nazisti posti nella Polonia conquistata: ad Oswiecim, Auschwitz in tedesco, Ottla, la sorella più cara a Kafka, le altre due nel campo di sterminio di Chelmno nad Nerem, Kulmhof  an der Nehr in tedesco, sul fiume Ner.

La malattia di Franz Kafka, rinvigorita dalla fame e dal freddo che l’autore dovette sopportare negli ultimi tempi della sua vita data la crisi generale e le scarse possibilità economiche, fu per così dire provvidenziale, lo salvò dalle mani dei nazisti, lo salvò dall’internamento e dalla gassificazione in un campo di concentramento dove gli assassini nazisti avrebbero avuto la soddisfazione di infliggergli le torture più tremende,  come la storia documentata ci tramanda a proposito del piacere  manifestato  dagli stessi nelle atroci sevizie nei confronti dei deportati, torture che essi gli avrebbero fatto verosimilmente subire e per essere ebreo e per essere un ebreo intelligentissimo, quindi doppiamente colpevole per il Governo nazionalsocialista della Germania. Nessuno nella cultura di lingua tedesca, che pure conta tanti autori di grande valore, può misurarsi a tutt’oggi neppure in distanza, e forse neppure per il futuro lo potrà, con  Franz Kafka nell’uso che egli seppe fare della lingua tedesca, che  egli rese capace di esprimere ogni cosa e anche di più in modo massimamente creativo, come appare dall’analisi delle sue opere.

Ma, vorrei aggiungere, Kafka non fu soltanto avverso al nazismo, incipiente in Germania già almeno dal primo e senz’altro dal secondo decennio del Novecento, come per altro non poteva essere molto diversamente per un ebreo, anche se di lingua e cultura tedesca: l’antisemitismo dei nazisti si scatenò anche ed in primo luogo nei confronti degli ebrei tedeschi, non solo degli ebrei polacchi o cechi e comunque di altri Paesi europei. Ciò che è interessante è il fatto che Kafka, pur avendo come lingua madre il  tedesco ed avendo, come già accennato, portato l’uso della semantica e delle strutture logiche proprie di questo idioma ad un acme difficilmente uguagliabile,  ebbe un rifiuto piuttosto definitivo per la lingua tedesca e le sue caratteristiche di fondo in fatto di personalità umana rappresentata nella stessa. Ciò si verificò soprattutto negli ultimi anni della sua vita, ma già era emerso con evidenza nella sua relazione con la madre, Julie Löwy. Kafka ebbe a dire che il suo rapporto con la madre fu rovinato alla radice proprio dall’uso della lingua tedesca, dal termine madre in se stesso, Mutter in tedesco. Un termine, secondo Kafka, tutt’altro che adatto ad esprimere un rapporto materno per come esso dovrebbe essere, dolce, non aggressivo, non ostile: il termine ebraico ima per madre, come dichiara Kafka, gli sarebbe parso più consono per i fini tratti di un rapporto madre-figlio e viceversa. La sua lingua madre, il tedesco, gli impedì di amare la madre e  di conseguenza, in un circolo vizioso senza soluzione, di amare alla fine anche il tedesco. Alla durezza e scarsa estetica del suono Mutter per madre Kafka ascrive per buona parte il fallimento di tale rapporto. Tornando all’avversione per il nazismo da parte di Kafka, vorrei appunto sottolineare come esso si intrecci con il rifiuto della lingua tedesca, nella quale Kafka rinviene caratteristiche di scarsa umanità al punto che avrebbe voluto, se la malattia gli avesse dato più tempo, sradicarsi dalla germanicità, dalla lingua tedesca, non solo nazista dunque, ma semplicemente tedesca, che avrebbe avuto a suo giudizio criteri di superomismo da rifiutarsi sul piano umano. Franz Kafka avrebbe voluto lasciare per sempre Germania e lingua tedesca per trasferirsi in Palestina, dove avrebbe trovato la cultura dei suoi avi e la lingua dei suoi avi, il dolce suono della parola ima per Mutter, una lingua, pur analitica e logica come e forse più di quella tedesca, ma anche più umana, una lingua ed una cultura dotate non solo di logica, anche se di logica ultra sottile come lo è quella ebraica, ma anche di cuore, quel cuore che secondo Kafka la lingua tedesca non avrebbe avuto, mancanza in cui si sarebbe individuata la potenziale presenza della caduta nella barbarie, nella disumanità – vedi al proposito l’analisi dell’ Aforisma 1 di Franz Kafka, di cui nel sito è pubblicato il Power Point relativo al Congresso di Genova del luglio del 2008 organizzato dall’Università di Groningen, Paesi bassi, e dall’Università di Genova (I). Kafka, che diventò Kafka grazie all’uso della sua lingua madre, il tedesco, proprio Kafka che visse per esprimere se stesso a livello linguistico, nella fattispecie nel linguaggio della cultura tedesca, quel Kafka che fu Kafka in piena tedeschità, non scese a compromessi relativamente all’obbligo morale di avere un’umanità, non vi scese mai e ciò fino al punto di rifiutare con la lingua tedesca anche la propria personalità strutturata e nutrita nella lingua tedesca e di volerla per così dire ricostruire in un altro idioma più umano. Di fronte al superomismo di cui Kafka scorgeva le radici nella lingua tedesca prima che in una o l’altra filosofia, Kafka non esitò: scelse l’umanità, scelse il rifiuto della lingua tedesca, scelse di servire il suo popolo in Palestina facendo il cameriere, così da dare il cibo materiale per la vita, ma anche, sul piano metaforico e culturale, quello spirituale, quello più umano. Così appunto, se Kafka non fosse morto prematuramente e se fosse riuscito ad abbandonare la Germania prima della sua storica e tragica caduta nella barbarie più disumana.

                                                                                                                                    Rita Mascialino

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