RASSEGNA E RECENSIONE III MOSTRA D’ARTE DEL PREMIO 2015

ACCADEMIA ITALIANA PER L’ANALISI DEL SIGNIFICATO DEL LINGUAGGIO MEQRIMA

III Mostra d’Arte del Premio Letterario Nazionale ‘Franz Kafka Italia ®’

 

Vernice: venerdì 9 ottobre 2015 h 18.00

Durata della Mostra: un mese

-Spazi espositivi:

Kulturni Center Lojze Bratuž, Viale XX Settembre n. 85, Gorizia

-Brindisi finale al Bar del Teatro:

Pasticceria Centrale Visintin, Via Giuseppe Garibaldi n. 4, Gorizia

-Servizio Fotografico:

Pier Luigi Bumbaca, Via delle Monache n. 11, Gorizia

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 N.B. Tutti i testi della Recensione si possono ripubblicare senza modificazioni per intero o a passi virgolettati. Onde non contravvenire ai diritti d’autore sia nel cartaceo che in internet è fatto obbligo di citare sempre il Recensore e la Mostra.

Anche le fotografie si possono ripubblicare citando per lo stesso motivo sempre la Mostra e il Servizio Fotografico per esteso.

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PRESENTAZIONE

di Rita Mascialino

 

Negli eleganti locali del Kulturni Center Lojze Bratuž della minoranza slovena in Gorizia ristrutturato dall’architetto e pittore sloveno David Faganel ha avuto luogo venerdì 9 ottobre 2015 h 18.00 la Vernice della III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ®,  Presentazione e Recensione di Rita Mascialino.

La motivazione a monte della Mostra d’Arte è duplice: da un lato essa è intesa come omaggio a Franz Kafka quale grande artista nell’ambito del figurativo per quanto attiene ai pur non numerosi disegni pervenutici, una quarantina circa; dall’altro essa è intesa come omaggio agli Artisti che partecipano al Premio Letterario Nazionale ‘Franz Kafka Italia ®’ e festeggiano a loro volta con le loro opere Franz Kafka quale  scrittore tra i più grandi di tutti i tempi in tutto il mondo nonché straordinario disegnatore.

Alla Mostra partecipano Artisti di comprovato valore e dagli stili più vari e dalle tecniche più varie.

 

Per la III Mostra d’Arte del Premio Letterario Nazionale ‘Franz Kafka Italia ®’ V Ed. 2015 sono esposte quarantuno opere di sedici Artisti di varia provenienza, soprattutto friulani, ma non solo, in ordine alfabetico:

1.Nadia Blarasin – pittrice

2.Alessandra Candriella – pittrice

3.Margot Di Lorenzo – fotografa d’arte, disegnatrice, illustratrice di fiabe

4.Anna Maria Fanzutto – pittrice, acquarellista, scultrice, incisore

5.Oscar Francescutto – pittore

6.Marcello Franchin – fotografo d’arte

7.Gina Gressani – pittrice

8.Luisa Lorenzin – pittrice

9.Marilena Mesaglio – disegnatrice grafica d’arte

10.Alberto Quoco – fotografo d’arte

11. Sergio Romano – pittore

11. Patrizia Ruggeri – pittrice, acquarellista

13.Daniela Savini – pittrice, scultrice, incisore

14.Isabelle Turrini – pittrice

15.Bruno Vallan – pittore

16.Erna Vukmanic – pittrice, scultrice, incisore

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RECENSIONE

La Recensione evidenzia in primo piano, accanto alle tecniche espressive utilizzate per realizzare l’opera d’arte e all’appartenenza degli stili ai vari movimenti artistici, il significato dell’arte espresso nelle opere degli Artisti, il tutto analizzato e interpretato a livello di superficie e profondo secondo la Spazialità Dinamica (Mascialino 1997 e segg.) identificabile e verificabile oggettivamente nelle opere stesse. 

I curricula degli Artisti stanno dopo la Rassegna e Recensione della Mostra. ________________________________________________________________________________

Rita Mascialino, Nadia Blarasin: Meteore, Frattura Scomposta, Risveglio. Acrilico su tela: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

Premio Kafka allestimenti mostra 122 Premio Kafka allestimenti mostra 124ok I tre dipinti Meteore, Frattura scomposta e Risveglio che Nadia Blarasin espone alla III Mostra d’Arte della V Edizione del Premio Franz Kafka Italia ® si inseriscono nello stile dell’arte astratta, ossia non sono rapportabili a oggetti o situazioni immediatamente riconoscibili come facenti parte della realtà concreta che circonda l’uomo, anche se portano titoli che si riferiscono a oggetti e Premio Kafka allestimenti mostra 127 situazioni reali e anche se qualsiasi astratto si riferisce sempre, come non può essere diversamente, alla realtà concreta e psicologica della vita umana. Sono realizzate in acrilico con un tipo di pennellata energica e a impatto parzialmente tattile, la vernice, sebbene non sovrapponga strati in rilievo immediatamente percettibile, non lascia la tela completamente liscia, ciò che dà un tocco in più di concretezza materiale ai suoi dipinti. E di fatto si tratta di individuare i poli, voluti o sfuggiti alla mano dell’Artista guidata dal suo inconscio estetico, che conducono alla visione del mondo prodotta dalla personalità della pittrice ed espressa nella condensazione e sovrapposizione dei segni colorati.

Le Meteore, popolarmente dette stelle cadenti, infuocano il cielo della notte tanto che questa emerge solo qui e là in qualche scorcio di buio che si apre dietro ai colori più accesi come fosse il loro sfondo, rossi e anche bianchi splendenti assieme a qualche lembo azzurro e mescolanza di aranciato e marrone. Ora non esistono nel reale stelle cadenti del tipo raffigurato da Nadia Blarasin, per cui si tratta di meteore create sul piano simbolico, psicologico, cui l’astratto dà massima espressione non essendo costretto nell’angolazione del figurativo. Se il cielo raffigurato dalla pittrice fosse l’interpretazione astratta di reali meteore, si avvicinerebbe più alla visione catastrofica di una possibile fine del mondo che alla realtà dei frammenti di comete che si bruciano all’impatto con l’atmosfera terrestre e ciò alluderebbe ad una interpretazione sacrificale della vita. Ma appunto, si tratta di un’interpretazione astratta, simbolica che prende spunto da qualche aspetto delle meteore. Veniamo quindi ai simboli. Se prendiamo il termine meteore nella Spazialità Dinamica di luci e fuochi che compaiono all’improvviso e scompaiono subito dopo, allora si ha il simbolo per qualcosa che esca improvvisamente dal buio per esserne inghiottito senza lasciare alcuna traccia di sé. Questo esprime una metafora della vita umana, dell’uomo visto come sangue che ne è un contrassegno fondamentale, come precarietà – il tempo di durata della meteora è quello di un istante –, come bellezza pure precaria che le belle cromie enfatizzano. Si apre al centro del dipinto uno spazio di luce bianca per così dire mescolata a toni diversi di colorazione come si ha nelle ombreggiature. Si potrebbe pensare ad uno spazio luminoso, ma questa non è una spazialità che può inserirsi nel contesto: meteore che distanzino la loro caduta per far emergere nella notte un paesaggio di roccia chiara o acque o altro al loro centro non hanno senso nel contesto spaziale portato sulla tela dall’Artista. Invece sembra avere senso un’altra visione correlata in modo più stretto alla metafora della vita. In questo astratto, tra le meteore e come meteore stesse, si individuano qui e là forme stilizzate e mimetizzate che evocano la suggestione di parti corporee animali e umane. In tale contesto si associa al centro, appena accennata con tocchi magistrali di intenzionalità conscia o inconscia, una struttura di un corpo femminile che irradia bellezza ed è vestito preziosamente di colpi di luce sparsi a ornamento qui e là. La collocazione pone il simbolo del femminile e della sua bellezza, fugaci meteore esse stesse, al centro della vita. Si tratta di uno sfarzo particolare su sfondo che si intravede in qualche lembo nero, uno sfarzo connotato di forti contrasti, come lo è il contrasto tra la vita e la morte, tra il colore principe della vita, il rosso, e quello principe della morte, il nero, qui in una duplice polarità: da un lato sta l’uscita della vita dal nulla – e dei colori dal nero che ne rappresenta tutta la potenzialità creativa –, dall’altro lo spegnimento dei colori tanto fugaci quanto meravigliosi nel ritorno al nulla da cui provengono. E appunto al centro di questa festa della vita dai toni accesi campeggia la più estetica figura femminile, la donna in qualità di signora della vita, delle sue apparizioni transeunti quanto stupende, donna cui la vita ruota tutt’intorno come ad omaggiarla nel modo più grandioso. Si potrebbe intravedere anche,  tuttavia a grandissime linee, la sagoma di un uomo al maschile con la figura femminile a sinistra dalla parte del cuore, come meteora dell’affettività relativa all’unione di uomo e donna. Tutto questo identificato secondo la Spazialità Dinamica che sta alla base dell’astrazione operata dalla pittrice Nadia Blarasin, ossia che ne forma lo scheletro semantico in questa interpretazione.

La Frattura scomposta realizzata in linea di massima in bianco e nero si riferisce esplicitamente a qualcosa di frantumato che è stato in aggiunta dissezionato ed è in pezzi quindi sia in seguito alla frattura stessa sia in seguito alla dissezione indicata dal termine scomposta, scomposizione che va oltre la semplice frantumazione essendo operata da qualcuno, nel caso dall’Artista che analizza, pur sempre sul piano estetico e intuitivo dell’arte, il mondo nelle sue componenti essenziali più profonde dopo averle spogliate dei colori, ossia solo come forme. Il dipinto si presenta due volte distante dal reale: non è a colori, ma in bianco e nero con sfumature, ossia è sul modello della vecchia fotografia che esalta la spazialità profonda del reale non mimetizzata dai colori che catturano l’attenzione con la loro bellezza e così la confondono, né rappresenta un oggetto ricostruibile secondo i suoi pezzi franti. Si tratta di una raffigurazione che ripropone, come spesso nell’arte astratta della Blarasin, un mondo in particolari che si stagliano sullo sfondo scuro che si vede o intravede dietro alle forme. In altri termini: in questo dipinto il lavoro di analisi attuato dalla pittrice ha ancora maggiore evidenza che là dove le cromie più belle per così dire vestono la scomposizione pur sempre presente nella pennellata che contraddistingue il mondo e lo stile dell’Artista. I simboli per la vita e per la morte che si manifestano precipuamente in minore o maggiore misura nella frammentazione come Leimotiv nell’arte di Nadia Blarasin, la vita vista come insieme di particolari che appaiono come schegge sul nero dello sfondo che si intuisce compatto, acquisisce qui la massima essenzializzazione. Si tratta di tonalità della luce chiara sul buio, luce che spezza la percezione dell’oscurità pur senza riuscire comunque a cancellarne la presenza, a farla dimenticare. Nel contesto spaziale della raffigurazione lo sfondo nero appare come un vuoto che attenda per così dire la caduta dei pezzi luminosi in esso dopo la loro breve e frammentata performance. L’esito dell’analisi operata dalla Blarasin in questo dipinto, la scomposizione da essa attuata sulla realtà già esistente della frattura e resa più esplicita anche nel titolo dell’opera, fa risaltare in modo particolare il tono del sinistro – le parti in bianco e nero sono prive della bellezza dei colori – che accompagna in ogni caso una raffigurazione simbolica della vita come insieme di pezzi privi della coesione e della compattezza per poter resistere alla fine all’oscurità che prenderà il sopravvento.

Anche il dipinto Risveglio si costituisce in larghe pennellate che pure frammentano l’immagine, come di consueto nell’arte di Nadia Blarasin, solo che il nero, che fa vedere la sua presenza qui e là di sfondo e di resto dell’oscurità in cui si svolge il sonno – definito dagli antichi anche come piccola morte –, viene qui fugato massicciamente dal giallo più intenso, dalla luce solare, da uno scoppio di vita che fa dimenticare quasi del tutto, anche se non del tutto, la realtà della parabola dell’esistere, la realtà dello spavento dovuto alla consapevolezza più o meno accentuata sul piano conscio e del tutto costante su quello inconscio, dell’inevitabile incontro finale con il buio totale che gli umani vorrebbero fuggire, ma che sanno di non poter mancare. Così nell’arte di Nadia Blarasin.

                                                                                                                     Rita Mascialino

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Rita Mascialino, Alessandra Candriella: Fantasia di colori in quadrati 1, 2, 3, 4, 5. Acrilico su tela: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

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Nella serie di cinque dipinti astratti in acrilico di Alessandra Candriella denominata Fantasia di colori in quadrati 1, 2, 3, 4, 5, l’Artista presenta un gioco di quadrati colorati che in varia angolazione appaiono sezionati parzialmente in rettangoli e intersecati a rettangoli. Non compaiono forme tondeggianti. La linea angolata, non curva, implica una componente logica che inquadra i colori, come se la razionalità regolasse il pur caldo senso estetico espresso nella scelta cromatica, il senso da dare alla vita stessa intesa come misura e compostezza dei sentimenti, anche una componente di fermezza nell’affrontare l’esistere. Il quadrato, in particolare, rappresenta tra l’altro la radicazione nel reale con la struttura più stabile, sul piano simbolico della personalità che l’Artista proietta nelle sue opere: la capacità di controllo. Il titolo stesso della miniserie esplicita per così dire la prospettiva in cui sono viste le figure nel gioco tra in quadrati riferito ai colori e la lettura che unisce la preposizione e il sostantivo nel termine inquadrati, come appunto se i colori fossero per così dire disciplinati in uno schieramento angolato.

Il quadrato della Fantasia 1 mostra colori in tonalità di rosso e aranciato, anche celeste misto a verde e grigio, circoscritti in forme quasi del tutto nette. Prevale il rosso come colore della vita e dell’azione, mentre il celeste conferisce a tale azione il tocco della spiritualità, dell’aereità dei cieli, dell’alto, come nella simbologia precipua di tali cromie in generale. I quadrati e rettangoli della Fantasia 2 offrono una varietà di celesti più o meno chiari con mescolanza di violetti e di sezioni di bianco, quasi come finestre che dal piano spirituale possano guardare il mondo, finestre che si riflettono comunque in acque sottostanti, nel profondo simbolico dell’inconscio, non tuttavia scuro come di consueto nella simbologia corrispondente, ma comunque e sempre chiaro, a significare un inconscio che la razionalità setaccia e chiarifica con il suo controllo. Nella Fantasia 3 compare una varietà di toni dell’arancio e del giallo più o meno chiari con la presenza di qualche tono più scuro in sezioni di possibili quadrati e inserimenti di rettangoli, di nuovo una elaborazione dei temi che contraddistinguono la serie in esposizione. Nella Fantasia 4 si identifica nella parte superiore della tela la presenza di possibili tronchi d’albero inframmezzati da luci colorate che la fantasia estetica dell’Artista esprime nei colori più belli ricreando l’immagine del reale, come un bosco magico nella trasfigurazione che l’arte più simbolica, astratta appunto, sempre dà al reale. Nella parte inferiore del dipinto si hanno quadrati che riflettono i colori delle luci soprastanti, come se la pericolosità del bosco venisse controllata in quanto vista da finestre aperte su di esso, ma che si possono anche chiudere a protezione dei pericoli di un tale bosco, ancora in tema con la spazialità della semantica individuata più sopra. Nella Fantasia 5 ancora sezioni quadrate e rettangolari in vari colori, dal violetto a varie tonalità di rossi e verdi, di blu e di bianco sfumato, nel più bel gioco delle forme astratte e delle cromie creato da Alessandra Candriella in uno scorcio di mondo filtrato dalla sua abilità tecnica e dalla sua volontà di controllo dell’esistere pur profondamente goduto nella sua bellezza.

                                                                                                                       Rita Mascialino

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Rita Mascialino, Margot Di Lorenzo: Appuntamento amoroso e La porta. Disegno: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

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I due disegni di Margot Di Lorenzo, Appuntamento amoroso e La porta, trattano il tema della coppia nello stile peculiare a questa Artista a tratto breve e preciso, dai contorni puliti e ben definiti e attento al dettaglio più minuto. I protagonisti appartengono ad altri tempi, nulla nel vestiario e soprattutto nell’atteggiamento riporta le figure all’epoca attuale, dove entrambi, maschio e femmina, si connotano come meno legati alla tradizione la quale vuole la donna composta e non liberamente attiva e l’uomo ancorato alla dignità confacente al suo potere. Se oggi la donna, nell’Occidente democratico, è più libera e anche talora spavalda rispetto al passato e l’uomo, corrispondentemente, comincia ad apparire meno sicuro del suo rango di potere, nei disegni della Di Lorenzo tutto è rimasto come una volta, quasi le relazioni fra i sessi per l’Artista abbiano ancora e sempre il medesimo aspetto, ciò in un moto nostalgico e sognante dell’animo verso relazioni sentite e interpretate come migliori di quanto la contemporaneità offre e senz’altro più amate. Tutto è molto tranquillo nei disegni, anche statico, come in un mondo incorruttibile, come in un’oasi di pace che nulla possa distruggere. Lo sguardo della donna in Appuntamento amoroso è dolcemente malinconico, cadono le foglie, si è dunque in autunno ed in effetti le due persone non sono due ragazzini, ossia il tempo degli amori non è precoce in questo disegno, tuttavia l’uomo porta un fiore alla donna, una rosa, segno che il suo amore per lei non è al tramonto, ma in fioritura per quanto tardiva e la donna attende tradizionalmente l’incontro con colui che diventerà il suo uomo presumibilmente come qualcosa che possa darle vita. Un tratto comune al significato dei due disegni di Margot Di Lorenzo oltre a quello della nostalgia per il passato: la spazialità della caduta come l’autunno e il sole all’occaso mostrano quali metafore di qualcosa non in piena eruzione di sentimenti o di passioni, ma nella pacatezza propria di atmosfere crepuscolari, del ripiegarsi in se stessi che tanto piace allì’Artista.

                                                                                                                        Rita Mascialino

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Anna Maria Fanzutto

Rita Mascialino, Anna Maria Fanzutto: Dall’alto del dirupo. Composizione in acrilico su tela e scultura in terracotta patinata: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

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Dall’alto del dirupo è il titolo di una poesia (Mascialino 2014) cui l’Artista Anna Maria Fanzutto si è liberamente ispirata nella sua opera intitolata ugualmente e consistente di due tele dipinte in acrilico e di una scultura in terracotta patinata, ossia dipinta in superficie dopo la cottura. A destra nella composizione pittorica sta il testo poetico trascritto dall’Artista. Nelle tele che fungono da sfondo alla scultura è dipinto un cielo turchino, notturno, dalla cui profondità sorge una potente luce bianca associabile alla purezza dello spirituale e orientata verso l’alto. Di fronte al cielo turchino e al centro della metaforica fiamma dello spirito è posizionata la scultura che mostra seduta su un basamento di terracotta bianca a modo di roccia il nudo di una giovane e bellissima donna, anch’essa in terracotta patinata, ma non di bianco, bensì del colore del bronzo, i gomiti appoggiati sui ginocchi piegati e le mani a sostegno del capo, i capelli morbidamente raccolti dietro e scendenti su nuca e dorso. In questa immagine trionfa sul blu della notte la metaforica luce dello spirito che accompagna e aiuta la meditazione della donna che sta sul dirupo, in alto essa stessa come lo sono i suoi pensieri. Accanto all’esecuzione artistica di grande abilità tecnica e livello estetico è molto interessante il significato dell’opera: chi medita è una donna che appare appunto nell’atto di pensare e ripiegata in se stessa sia nella propria interiorità che fisicamente in una struttura chiusa in perfetta solitudine. Essa non si trova nella limitata realtà del quotidiano, ma è immessa nello spazio cosmico – non è in giardino o in casa, ma simbolicamente collocata nei reami più vasti dei cieli, al centro dell’Universo dove, per così dire, si è recata con la sua mente per dare spazio ai suoi pensieri in una tensione di ordine superiore e verosimilmente anche di un sentimento in qualche modo religioso. In altri termini: i pensieri in tale spazio non riguardano la realtà della vita di ogni giorno – sarebbe del tutto non consono avere bisogno dell’infinito Universo per pensare alle incombenze pratiche della spesa –, bensì, secondo la Spazialità Dinamica del contesto, sono di ordine filosofico più generale, coinvolgente la presenza della vita umana nel più ampio cosmo. Interessante è che a pensare in senso filosofico sia appunto una donna capace di profondità e di audaci pensieri quali sono quelli che la pongono fuori dai limiti del precipuamente terreno, della materia che funge da base all’esistere. Tale opera evidenzia che anche la donna è capace di alti pensieri e che può dedicarsi alla riflessione sulla vita staccando dai suoi impegni di madre e di sposa, un segno dei tempi attuali, dove, se la donna vuole, può osare più di quanto concessole un tempo dal suo esistere al servizio della famiglia, del compagno, dei figli, degli anziani, appunto al servizio come suo raggio di azione assegnatole da sempre. Una donna nuova quella di Anna Maria Fanzutto in questa composizione, una donna che non rinuncia alla sua bellezza, una donna che esalta il femminile nella sua estetica stupenda cui l’Artista ha potuto dare il massimo rilievo attraverso la padronanza delle tecniche dell’espressione scultorea e pittorica, ma che può anche pensare in solitudine su temi alti, non più solo quotidiani per quanto importanti questi siano, quotidiano cui essa non rinuncia delegandolo ad altri – è una donna dalla natura materna e quindi soccorritrice per eccellenza –, ma cui può aggiungere il frutto della sua nuova libertà.

                                                                                                                        Rita Mascialino

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Rita Mascialino, Oscar Francescutto: Keeper of Knowledge, La porta scomparsa, Notturno. Acrilico su tela: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

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Le tre tele in acrilico di Oscar Francescutto hanno al centro tre figure umane rappresentate sulla scia dello stile della pittura metafisica di Giorgio De Chirico, che l’Artista riconosce come suo Maestro. Una pittura dunque che va programmaticamente al di là della fisica, dando espressione e visibilità ai significati più profondi nella sintesi estetica e condensata propria delle immagini che parlano il linguaggio muto dei simboli. Si tratta di un allievo che mostra chiaro l’influsso del Maestro, ma che tuttavia innova l’impostazione della pittura di De Chirico. Se in quest’ultimo le figure umane hanno quasi sempre perduto l’aspetto umano per acquisire quello di strutture che essenzializzano le forme e equiparano spesso i viventi a burattini privati di sangue e carne, in Francescutto le figure umane mantengono spesso un collegamento con il loro corpo di carne ed ossa, con la loro realtà umana, ciò in una compenetrazione di fisica e metafisica di grande risonanza semantico-emozionale. In altri termini: gli umani di Francescutto mostrano di essere fatti di materia viva e, per mutuare un termine dal linguaggio tecnico dell’elettronica, di mente, di software come intelletto, come in particolare nel dipinto Keeper of Knowledge, Custode della conoscenza. Vediamo che la testa di quello che appare verosimilmente come più come un uomo che una donna – è spaccata e aperta per dare accoglienza ad un mondo intero, un microcosmo riflesso appunto dell’intero Universo contenuto nella scatola cranica, il capo è dunque sezionato per fare posto alla conoscenza – il microcosmo è bianco, partecipa della chiarezza – e per immagazzinarla. Tale sezione, che esplicita l’introiezione del sapere, costituisce comunque una frattura che in quanto tale è qualcosa di doloroso, la conoscenza amplia la mente, ma nel contempo c’è un prezzo da pagare: conoscere il senso o il non senso della vita non porta letizia e anzi, spazzando via la conoscenza tante illusioni, può anche spazzare via assieme la letizia a quelle collegata, come anche l’espressione seria del volto comunica. Nel cielo oscuro della notte si identifica una falce di luna illuminata e si percepisce la sua faccia oscura, nascosta e inquietante come tutto ciò che non mostra chiaramente il volto lo è, un forma che è rimasta buia, non facente parte del sapere dunque, a memoria che l’uomo, per quanto capace di contenere e custodire un microcosmo nel suo cervello, non può capire e conoscere ogni cosa, non può contenere tutto e una parte di mistero resta comunque attorno a lui. Gli archi di dechirichiana memoria all’esterno della figura umana danno forma all’ambiente simbolico che accompagna la presenza dell’umano: archi come passaggio e delimitazione dello spazio, ossia gli umani di Francescutto hanno costruito archi come punti di riferimento e anche, per quanto aperti da ogni lato, come possibilità di sosta protetta nel loro viaggio terreno, archi che sono di per sé un emblema del passaggio da un luogo all’altro e, sul piano metaforico come lo è quello su cui si snoda tale messaggio estetico, anche del passaggio per eccellenza dalla vita alla morte sempre presente in uno o l’altro aspetto nella vita dei personaggi che popolano i dipinti di questo Artista. Sul retro si vede un paesaggio di rocce infuocate da una luce rossa, non naturale e quindi del tutto simbolica, la quale nel contesto è segno di rischio e pericolo dell’ambiente in cui ha luogo l’esplorazione del mondo e l’azione da parte degli umani, anche la faticosità dell’impresa insita in aggiunta nell’altezza e ripidezza delle strutture montuose. Quanto alla figura umana che campeggia in primo piano, essa presenta un busto che diviene corpo intero, un busto che assume in parte l’aspetto e anche la funzione di arti inferiori. Se in De Chirico si hanno talora arti inferiori umani cortissimi che conferiscono il tono del passo corto agli stessi enfatizzando una forte difficoltà di movimento e anche la pochezza umana al di là di presunzioni di grandezza, pochezza espressa anche nella visione degli uomini quali automi e burattini, in quest’opera di Oscar Francescutto tali arti non ci sono neppure, ma il busto stesso si fa simbolo di tutto il corpo, arti inferiori compresi. Ciò è molto interessante: il busto sede del cuore e sostegno della testa è la parte alta del corpo, che diviene essa stessa la base vera e propria di tutta la personalità e l’umanità dell’uomo francescuttiano, nel quale la zona inferiore, sede dell’istintualità, non conta o conta meno o quasi nulla, ciò in armonia con le caratteristiche dell’intelligenza e del sentimento degli umani che ne danno la peculiarità più essenziale e soprattutto in armonia con la volontà dell’uomo di Francescutto di essere soprattutto ragione, conoscenza, sapienza, molto diversamente dal Maestro. Non solo il capo, ma anche il busto presenta aperture tondeggianti e archi dentro di sé che ne fanno ulteriore simbolo di passaggio: l’umano di Francescutto mostra ovunque la sua natura di essere che propaga la vita e la conoscenza come qualcosa che esca da se stesso. L’oscurità circonda tale figura come mistero in cui è collocata la vita, mistero che l’uomo sonda quasi la vita si identificasse con la continua ricerca di capire, conoscere, sapere – la figura umana è chiara come chiaro è il microcosmo che il suo cranio contiene. Passando all’altra opera intitolata Notturno, vediamo qui una esplicita figura femminile con il capo pure a sezione aperta senza la presenza tuttavia del microcosmo luminoso quale simbolo della conoscenza. Forse le donne non possono capire il mondo come i loro compagni invece possono? Certamente no, la donna nell’arte di Oscar Francescutto ha una posizione per così dire privilegiata, essendo capace di essere in contatto con le forze più misteriose della vita e anche qui il suo capo è aperto per introiettare tutto il mistero dell’Universo con cui essa è in contatto direttamente, intuitivamente e globalmente. La notte domina ancora, il cielo è nuvoloso, foriero di difficoltà, ma si intravede all’orizzonte la luce dell’alba chiarificatrice dell’oscuro. La donna è raffigurata a corpo quasi intero e la parte inferiore è presente anche quasi del tutto, in primo piano il suo ventre generatore di vita, passaggio aperto per l’ingresso e l’uscita della vita come anche gli archi ai lati della donna evidenziano: un passaggio per la vita, luminoso, e uno per la morte, oscuro, come spegnimento di ogni luce e ingresso nel buio. Attraverso gli archi nel retro del dipinto si intravedono strutture di nuovo ad archi e che simboleggiano possibili città, costruzioni umane che prendono avvio dalla donna in quanto madre di tutta l’umanità. Anche qui mancano parti del corpo ad indicare come sempre l’incompletezza umana per quanti sforzi possano essere prodotti per superarla e anche, inevitabilmente, la fragilità dell’umano.

La tela dal titolo La porta scomparsa raffigura il corpo di una donna senza alcun arco, un corpo bellissimo e vivo, tuttavia senza testa, senza individualità e per di più visto dal retro ad arti inferiori stretti così fra di loro da non permettere alcun passaggio come appunto il titolo esplicita dichiarando la scomparsa della porta, di qualsiasi ingresso e uscita. Allora il corpo della donna non viene qui recepito né rappresentato come passaggio di alcunché, ma solo come strumento di piacere in sé – la bellezza del corpo differenzia tale donna dalle altre strutture umane che compaiono in molte tele di Oscar Francescutto e specificamente nelle tele già citate. Anche qui comunque gli arti inferiori non sono raffigurati per intero, mancano le gambe propriamente e la donna è in postura statica, non di movimento. La strada davanti ad essa è lunga, ma il suo passo è fermo, non in cammino: ove la porta come passaggio sia assente, ove non permetta l’ingresso e l’uscita della vita, tutto si ferma e il suolo più rosso idoneo all’azione più accesa resta inutilizzato e anche la conoscenza è assente come attività precipua della testa che manca del tutto. Una donna dal corpo molto bello e conseguentemente diversa dalle altre nella visione del mondo dell’Artista che ha raffigurato in essa la miseria del femminile speso come chiuso strumento di piacere.

Per concludere e sintetizzare uno dei perni portanti dell’arte di Oscar Francescutto: la vita si manifesta nella visione del mondo del pittore precipuamente come insieme di passaggi, di trasformazioni, nonché di superamento di spazi, spazi delimitati da archi, da porte che permettono l’ingresso e l’uscita nella vita e nella morte, ma anche l’orientamento e l’avanzamento nella conoscenza in un progresso incessante quanto arduo.

                                                                                                                                       Rita Mascialino

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Rita Mascialino, Marcello Franchin: Alba, Convergenze parallele, Incomprernsioni. Fotografia d’arte: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

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Le fotografie d’arte in bianco e nero di Marcello Franchin Alba, Convergenze parallele e Incomprensioni, rivelano già nei titoli il perno semantico attorno al quale di volta in volta ruotano. Si tratta di fotografie che compongono una miniserie avente come trait d’union prospettive geometriche marine stagliate in diverso modo contro l’orizzonte.

In Alba l’atmosfera si presenta come fortemente angosciante. All’orizzonte formato da un mare liscio, fermo e bianco – appunto all’Alba – e da un cielo oscuro che si sta rischiarando si intravede un lontanissimo sole sorgente capace di rendere totalmente bianca l’acqua dentro la quale, dalla supposta costa, si dirama perpendicolare all’orizzonte e diretto ad esso uno stretto percorso appoggiato su scogli o rocce nere che richiamano l’aspetto di un mostro marino prodotto dalla fantasia. Il percorso consente di avanzare per un tratto in mezzo all’acqua che si trasforma non subito, ma molto sinistramente ad un certo punto dell’immagine in una spazialità non prospettica, bensì come un muro bianco, oppressivo, che chiude qualsiasi possibilità di movimento e fa del percorso una trappola che porta di fronte al muro. È come se chi vi si avventurasse per godere della vista sul mare al limitare del giorno e della notte si accorgesse solo troppo tardi del pericolo incombente di essere da un momento all’altro sommerso dalla possibile valanga di acqua che non consente più alcuna navigazione. Al di là della simbologia capace di esprimere la più profonda angoscia esistenziale sta la bellezza della fotografia elaborata tecnicamente da Marcello Franchin secondo canoni estetici dalla risonanza emozionale particolarmente intensa: l’oscurità degli scogli emerge dal bianco lattiginoso delle acque anziché come sostegno e sicurezza del passaggio, come fonte di smarrimento e di paura essa stessa, quasi che dai vuoti e dalle acque tra un masso e l’altro si potessero nascondere pericoli di fuoriuscite di mostri e fantasmi come nei peggiori incubi. Nessuno sta sul passaggio, ma questo non solo non toglie nulla alla natura del passaggio, bensì aggiunge ulteriore simbolicità in ambito più ampio, non individuale, ma universale come simbolo della vita umana stessa che si manifesta come fosse una trappola, invitante all’apparenza, micidiale nella sostanza e senza possibilità di continuazione, senza scampo.

In Convergenze parallele la contraddizione logica e ossimorica è già nel titolo: le parallele non possono convergere in quanto tali tranne che nelle illusioni ottiche della prospettiva. Si tratta quindi di convergenze che in realtà non ci sono e che possono apparire solo illusoriamente. Le cinque strutture in cemento poste nel mare, viste in prospettiva, paiono convergere, mentre in realtà sono parallele perpendicolari al muro d’acqua che si alza e quasi si gonfia all’orizzonte come tipico Leitmotiv dell’arte di Marcello Franchin. Un’illusione di unione che non si può realizzare così che ciascuno avanza da solo, non assieme ad altri o attende sempre in solitudine l’onda che lo sommergerà. Anche qui si ha una situazione di angoscia una volta che l’acqua all’orizzonte venga percepita come muro che sembra gonfiarsi sotto il peso delle nubi fosche di tempesta, angoscia che si fa simbolo esistenziale come nella precedente fotografia, nessuna unione di forze umane, unione per altro illusoria come si evidenzia, può contrastare l’incombente valanga d’acqua che una volta o l’altra si rovescerà sopra quanto sta sulla costa o si è avventurato in essa credendo di farcela.

In Incomprensioni la bitta di metallo inchiodata sul cemento per l’ormeggio delle imbarcazioni è raffigurata nella fotografia in modo tale che la barca ormeggiata non abbia stabilità, ma venga sbatacchiata dal moto ondoso in modo tale da scontrarsi con le pareti un po’ da tutte le parti, situazione che simboleggia al meglio la situazione di incomprensione che ci può essere tra gli umani che non trovano pace né convergenze per vivere in tranquillità o per lo meno in qualche misura protetti e non in guerra inutile – le navi all’ormeggio dovrebbero stare in pace e muoversi, quando non in burrasca di mare, solo pacificamente. Anche nella situazione di sosta del viaggio dunque, per così dire quando si è a casa e si dovrebbe essere protetti, non c’è pace: le incomprensioni producono guerra, disturbo.

Così nella trilogia di Marcello Franchin, dove domina la più oppressiva parete d’acqua pronta a rovesciarsi sulle opere umane, sugli umani, sulla vita.

Rita Mascialino

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Rita Mascialino, Gina Gressani: Astrazione 1, 2, 3. Acrilico su tela: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

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I tre astratti di Gina Gressani Astrazione 1,2,3, fanno parte di una miniserie che mostra immagini che hanno componenti affini. Compaiono strutture a pennellata larga quasi del tutto liscia e solo in parte lievemente tattile che portano i medesimi colori primari rosso, blu, giallo, inoltre il bianco e piccoli dettagli cromatici in aggiunta. Anche le forme sono affini nei tre dipinti che compongono la piccola, ma efficace serie. Poiché l’astratto offre la più profonda manifestazione del simbolico visto che non vi è un figurativo vero e proprio a imitazione del reale che ne possa limitare l’espressione, occorre ricercare i significati che non sono mai troppo evidenti. Colpisce subito la dinamicità delle linee che contraddistingue tali astratti che non hanno nulla di statico, di fermo, ma che partecipano del movimento energico delle idee. Nell’Astrazione 1 si vedono delle pennellate nei colori suddetti a forma semicircolare che si toccano e sovrappongono e compenetrano parzialmente, ma che sono impostate ad allontanarsi l’una dall’altra – le sfere non possono ruotare all’infinito sfregandosi assieme senza distruggersi –, sovrapposizione che non associa toni di guerra, ma di gioioso contatto, come la conservazione della forma suggerisce. Nell’Astrazione 2 le pennellate mostrano strisce che associano agevolmente singoli individui stilizzati in modo estremo che stiano assieme, uniti, in gruppo, tuttavia non spontaneamente, ma trattenuti da un legame che li costringe, pur senza violenza – il legaccio che li tiene uniti è bello esteticamente e quindi anche simbolicamente si riferisce a qualcosa di bello –, tuttavia appunto li priva di una certa libertà di azione, di performance. Nell’Astrazione 3 si ha un unico ventaglio di pennellate che originano da un unico centro propulsore in basso, metafora del singolo individuo scevro da ogni contatto e legame, capace di dare espressione alla propria creatività in piena libertà. Sparsi ovunque nei tre dipinti stanno piccole sfere soprattutto bianche, ma anche negli altri colori, sfere che ricordano trasfigurata dalla fantasia della pittrice il cielo notturno con le stelle sparse come monadi non comunicanti, con l’eccezione dell’Astrazione 1, dove due astri rotanti si sovrappongono e compenetrano per pochi attimi di rotazione e quindi comunicazione in comune. Gli stessi colori primari sono simbolici di una potenzialità espressiva di massimo spettro – dalle loro mescolanze derivano tutti gli altri colori, dai colori secondari e terziari alle sfumature cromatiche dovute ai più diversi incroci di tonalità e di conseguenza, sul piano psicologico della personalità umana e delle visioni del mondo prodotte dagli umani, della più vasta sfaccettatura dell’umanità. Trionfano in questa miniserie l’amore e l’omaggio di Gina Gressani per l’Arte, ambito in cui la creatività si esprime nel modo più diretto e libero da obblighi di riscontro con la realtà, ossia ambito in cui la personalità dell’uomo può costruire mondi in totale libertà che un’analisi condotta sul piano oggettivo può estrarre, quindi conoscere.

Rita Mascialino

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Rita Mascialino, Luisa Lorenzin: Rosso, Donna. Acrilico su tela: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

Premio Kafka allestimenti mostra 046

Premio Kafka allestimenti mostra 050

I dipinti di Luisa Lorenzin Rosso e Casa, appartengono al genere figurativo e simbolico con qualche cenno di pop-art nella presenza di una fotografia in bianco e nero, di un corpo quindi estraneo alla pittura, nell’opera Casa, come vedremo fra poco e come se ne trovano non di rado anche in altre opere dell’Artista. In Rosso campeggia una tinta composta dal rosso primario con lieve mescolanza di blu, un’ombra di magenta nel cuore del rosso dunque che non inficia l’impatto del rosso con la sua carica di vitalità e di eros, ma che smorza in certa misura l’aggressività della tinta primaria che si fa in tal modo più accattivante, più seduttiva. Su tale sfondo inneggiante alla bellezza di un eros non solo o non tanto passionale, ma già anche sensuale all’origine con la citata mistura che va ad indebolire la violenza del rosso quale colore primario, è posizionato in caduta diagonale un molto estetico fascio di pampini, tralci e altre foglie, pampini talora ancora rossi o rosacei e soprattutto azzurro-violetti. Nei pampini azzurrati si acquieta la passione di cui rimane qualche dettaglio, qualche fiore ancora non trasformato in sentimento più pacato, trasformazione cui corrisponde il verso della caduta, non rovinosa, ma più graduale, come il fascio fosse trasportato dolcemente dal vento in diagonale, non fosse dunque sottoposto ad una caduta repentina e veloce, più consona ad una spazialità perpendicolare. Un dipinto, quello di Luisa Lorenzin, che sul piano simbolico che ne sostiene la semantica offre una visione della vita affettiva come iniziale scoppio di passione erotica ed euforica espresso dalla scelta del colore rosso nel contesto dell’immagine e successiva trasformazione in sentimento amoroso pacato, non spento, ma interiorizzato come i colori delle foglie di vite accennano, un po’ come se il vino implicito alla presenza della foglia della vita desse calore all’esistere e successivamente all’insobriamento dei sentimenti subentrassero tinte esistenziali quiete e riflessive. Un particolare interessante fra gli altri: il colore azzurrato si pone a coprire o a mimetizzare il rosso sottostante, metafora per gli affetti che vanno a coprire e illeggiadrire l’eros di un tempo che ora si fa sentire come base per l’amicizia, per la buona disposizione. Un dipinto che rappresenta il mondo dell’affettività come lo vede la pittrice, un’affettività che sorge come passione per la vita e che si conserva come radice dell’affettività e come sfondo dei moti erotici e affettivi.

Nella tela intitolata Casa Luisa Lorenzin presenta ancora una visione del mondo complessa e molto interessante oltre che bellissima sul piano estetico. Nella metà a sinistra della tela stanno simboli consueti nella pittrice quali foglie di vite, metafora di intensità di vita come abbiamo già visto. I colori delle foglie vanno da tonalità di rossi a tonalità azzurrate, bianche, anche più scure come nella parte inferiore della tela dove sta una foglia quasi del tutto nera se non proprio nera. In questa metà del dipinto dominano le strutture angolate, le suddivisioni degli spazi in un’analisi che non lascia spazio a compromessi – gli angoli e i perpendicoli non cedono alla linea curva in nessuna misura –, ma che è alleggerita dai molti mondi multicolori sparsi un po’ ovunque, come a dire che la fantasia non cessa neanche in un mondo sezionato e inquadrato in strutture logiche, una fantasia d’artista che, pur esprimendosi in forme arrotondate e libere da percorsi segnati e obbligati, non spontanei, tuttavia si associa a questi illeggiadrendoli esteticamente. Sulla metà destra della tela sta una struttura di corpo femminile fatto a linee curve a somiglianza di una cancellata in ferro battuto, ossia una struttura molto forte e resistente quindi, ma trasparente, non pesante, bella. La postura di questa donna stilizzata è quella di chi regge qualcosa di più pesante con le braccia che terminano una sotto la casa di Gustav Klimt inserita come piccola fotografia in bianco e nero nell’altra metà del quadro, l’altra sopra la casa seguita da un mondo di coriandolini colorati che si riversano sulla casa stessa. Un casa d’artista indubbiamente, non solo quella di Klimt, ma anche quella cui ha dato vita Luisa Lorenzin con la sua razionale e disciplinata squadratura degli spazi a sinistra, fatta di stanze e finestre stilizzate che tuttavia riflettono e accolgono la pioggia colorata che giunge dai reami della fantasia che vivifica le strutture della casa concreta e metaforica. Tali mondi della fantasia provenienti da luoghi sconosciuti, vengono comunque dall’alto e dall’alto si riversano leggeri sulla casa dell’uomo. Che sia la donna e non un uomo a sostenere la detta casa, è facile a comprendersi. Nella visione di Luisa Lorenzin è il femminile ciò che regge nella vita degli umani, ciò che sostiene tutto quanto può fondare l’umanità.

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Rita Mascialino, “Africa” o la donna di Marilena Mesaglio. Disegno grafico d’arte: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

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Il disegno grafico d’arte di Marilena Mesaglio intitolato Africa raffigura la parte superiore del busto di una donna dai tratti stilizzati sullo sfondo di quello che appare come il vasto deserto di sabbia africano bruciato dal sole e come un paesaggio di possibili monti all’orizzonte che si confonde con il cielo, il tutto trasfigurato dalla fantasia estetica dell’Artista. Si tratta di una donna contrassegnata dalla mancanza di tratti identitari nel volto così che essa diviene molto direttamente un simbolo universale per tutte le donne oltre che simbolo della cosiddetta Eva nera, generatrice di tutta l’umanità e qui raffigurata mentre è inondata di stupendi colori esaltati dalla più intensa luce solare. Come dichiarato da Marilena Mesaglio stessa, di fronte alla donna sta il suo bambino seminascosto da un telo che lo protegge e che mostra qualche colore della bandiera del Sudafrica, uno dei luoghi più importanti per la diffusione di Homo sapiens. Che il bambino si riconosca appena solo per una piccola porzione della testa in quanto nascosto per il resto del corpo dal telo allude da un lato alla protezione dello stesso da parte della madre, dall’altro consente il primo piano alla donna che viene così ad avere la parte di protagonista del messaggio che informa l’opera. I colori e le linee che si vedono ai lati della donna e nel retro dell’immagine rendono il paesaggio africano come una continuazione delle linee e anche della maggior parte dei colori che disegnano la donna, come un tutt’uno con essa che ne diventa simbolo e personificazione – il disegno di fatto non si intitola alla donna, che pure occupa gran parte della tela, ma molto opportunamente al continente africano, culla di tutta l’umanità e in tal senso simbolo della Terra intera – e vale anche il discorso inverso: la donna appare come emanazione del paesaggio africano, in ogni caso la donna e la natura africana sono in simbiosi cromatica e formale. In questa immagine di madre e bambino lo sguardo della stessa, che si intuisce rivolto al bimbo vista la postura del volto, conferisce il tono della staticità alla situazione: la donna si isola nel suo mondo di madre occupandosi solo del suo bimbo. Un particolare interessante, non previsto consapevolmente dall’Artista, riguarda la speciale configurazione spaziale del telo che nasconde il neonato: esso non è ancorato nel braccio o nella mano della madre, di fatto appare liscio e intatto come fosse appoggiato a qualcosa di sottostante non necessitante di alcuna presa per sussistere. Tale spazialità, nella dinamica stilizzazione che pervade tutte le forme raffigurate nel disegno, rende possibile una seconda angolazione semantica da cui vedere l’immagine. In questa diversa angolazione come insieme di linee dinamiche che sfumano l’identità sia della madre che del bambino il telo acquisisce un significato diverso come capulana stesa al suolo su cui la donna sia seduta in postura a ginocchio piegato e ricoperto parzialmente dal telo. Eva nera, in questa prospettiva, non si manifesta tradizionalmente come donna chiusa nel suo mondo di madre e colta mentre guarda il suo bambino eliminando ogni altro interesse per il mondo esterno a questa relazione che appare esclusiva, bensì la sua maternità diventa semanticamente solo implicita al suo essere donna che in quanto tale si manifesta invece come non limitata nella sua libertà neppure dalla maternità, una donna capace di essere madre e anche capace di essere persona libera come anche la sua postura viene ad esprimere nella sicurezza istintuale che esprime. In altri termini: in questa ulteriore visione della donna che campeggia da sola in primo piano e si mostra in una postura che la ritrae appena accovacciata al suolo per riposarsi dal suo cammino – vedi telo che sta per scendere dal possibile ginocchio – la staticità è superata e allora si ha una donna non più solo limitata al suo pur grande ruolo di madre, ma libera di vivere la vita in tutti i suoi risvolti. Una donna africana dunque madre di tutta l’umanità, personificazione del continente africano e anche, nella doppia spazialità in cui può essere vista l’immagine seguendo l’intenzione consapevole dell’Artista e seguendo le linee della stilizzazione nella loro globalità, figura gigantesca della vita al femminile su questa Terra nella nuova e più ampia consapevolezza della donna, come vuole uno dei perni centrali degli straordinari disegni grafici d’arte di Marilena Mesaglio.

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Alberto Quoco

Rita Mascialino, Alberto Quoco: Strutture inerpicanti, Sospensioni, Clochard. Fotografia d’arte: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

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Le tre splendide fotografie d’arte di Alberto Quoco Strutture inerpicanti, Sospensioni e Clochard rappresentano tre aspetti del mondo attuale elaborati in Photoshop onde conferire agli stessi la patina del passato, del vecchio che impreziosisce gli oggetti di cui è memoria, ciò che in aggiunta dà al presente anche la caratteristica di appartenere già al vecchio, in un superamento frenetico di quanto raggiunto da un progresso inarrestabile sia tecnologico sia degli usi e costumi umani in continuo mutamento.

La figura del Clochard è ripresa in un marciapiede di una metropolitana, per la precisione a New York, in ogni caso in un luogo di movimento e di passaggio, di spostamento in vari luoghi. In tale scatto di grande impatto artistico, Alberto Quoco ha espresso un’intera visione del mondo: quella relativa all’uomo nella sua peculiarità di vagabondo sulla Terra, in ogni luogo, anche all’interno di essa, sotto terra appunto come la presenza della metropolitana mostra, capace quindi di vivere in tanti modi e in tanti luoghi nel suo vagare ovunque come la specificità del clochard rappresenta. Il fatto che l’Artista non abbia ripreso un altro uomo, un uomo elegante e magari d’affari in attesa della fermata o sceso dalla metropolitana, come avrebbe potuto fare agevolmente, è dovuto allo sguardo profondamene artistico di Quoco sempre improntato, come anche in questo caso, a vedere i tanti significati che contraddistinguono la vita dell’uomo nelle sue sfaccettature colte dal suo occhio fotografico profondamente intuitivo. Sospensioni presenta uno scorcio prospettico dei cavi di sospensione di un ponte, poco importa che sia il Ponte di Brooklyn ai fini del significato artistico della fotografia che, scattata senza il figurativo del ponte, diviene simbolo molto più ampio: non solo il ponte, che tuttavia non si vede, congiunge luoghi e mondi diversi, ma il fatto che si vedano solo le sue sospensioni sullo sfondo del cielo pone l’opera umana come frutto delle alture dell’intelletto e della fantasia che appunto non evidenziano materialità, ma solo l’impalpabilità che sta alla base di tutto il materiale. In Strutture inerpicanti si ha ancora una visione dell’alto, gli alberi che Alberto Quoco ha sovrapposto al cemento nella sua elaborazione del reale si inerpicano sopra e parallelamente alle strutture in ascesa edificate dall’uomo, così nella performance del fotografo d’arte che fotografa ciò che parla della sua visione interiore. Come la natura si slancia verso l’alto, così anche la natura umana costruisce qui verso l’alto in quello che nel Photoshop di Alberto Quoco appare come un grattacielo.

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 Rita Mascialino, Sergio Romano: Natura morta sul comò, Natura morta sul tavolo. Acrilico su tela: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

   Premio Kafka allestimenti mostra 154 Premio Kafka allestimenti mostra 159

Natura morta sul comò e Guanti: natura morta di Sergio Romano mostrano momenti di vita quotidiana, le piccole grandi cose su cui si basa la vita in ogni caso e che nella visione dell’Artista evidenziano l’amore per la vita. La zucca più gialla e ispirante calore e letizia, sezionata in pezzi pronti per essere sbucciati e cucinati, la borsa azzurra che l’ha accolta prima di essere posta sul tagliere di legno parlano di una vita semplice in armonia con i frutti della Terra, quindi anche di sentimenti fondamentali per l’esistere, gli affetti, come la preparazione della cena sembra presupporre. Il coltello evoca l’opera di precisione che l’uomo profonde nelle sue azioni, anche quelle all’apparenza più semplici, la sua opera di modifica della natura e comunque di unione ad essa per la vita. I colori, molto caldi, sono soffusi, non si hanno eruzioni di passioni o di sentimenti estremi, ma il più sano e saggio buon senso dà forma a questa natura morta. Il fatto che la zucca sul tagliere sia posizionata su un comò e non sul tavolo della cucina implica come chi la stia sezionando per cucinarla sia in faccende domestiche e l’abbia spostata per un momento appunto sul comò, sul piano della credenza o anche in altra stanza. Una scena di genere dunque, di vita familiare vissuta verosimilmente in campagna, vicino alla natura, un quadretto a memoria di come fosse l’esistere un tempo non troppo lontano e fermatosi ancora in alcuni luoghi, ma in ogni caso ormai lontano, diverso da quanto l’attualità sempre più mostra nel vasto mondo. Guanti offre di nuovo una scena di genere tratta dalla vita campestre: sono rappresentati dei peperoni verdi appena colti e i guanti arancio che sono stati utilizzati per la raccolta e il taglio degli stessi dalla pianta. La visione è dall’alto, come se peperoni e guanti fossero stati posti o lasciati al suolo prima di essere lavati e cucinati per il pasto in armonia con la natura. Così nella splendide nature morte di Sergio Romano, simboliche per i valori fondamentali e insostituibili della vita, per la buona disposizione verso la stessa, verso la natura, verso i sentimenti familiari.

Rita Mascialino

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Rita Mascialino, Patrizia Ruggeri: Ormeggio, Mare mosso, Porticciuolo, Paesaggio marino. Acquarelli: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

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Gli acquarelli di Patrizia Ruggeri Ormeggio, Mare mosso, Boe e Premio Kafka allestimenti mostra 181 Paesaggio marino offrono uno scorcio della personalità della pittrice come si proietta nella scelta delle vedute rappresentate e nella tecnica di rappresentazione, di cui qualche dettaglio fra poco. Si tratta di paesaggi marini che si differenziano per le prospettive inquadrate, ma che sono affini dal punto di vista semantico profondo esprimendo essi gli stati d’animo più congeniali all’Artista. Vediamo di che cosa si tratta. In Ormeggio si ha la visione di barche a riposo. La pennellata dell’acquarello per natura dei colori che devono essere mescolati all’acqua e pertanto più difficilmente lasciano la linea netta è qui quasi equiparata alla pennellata del colore ad olio. Di fatto l’immagine si presenta a linee precise e senza alcuna sbavatura, non è sfumata come spesso avviene con questa tecnica pittorica adattissima a raffigurare l’impalpabilità dei contorni impressionisticamente non percettibili nella luce come qualcosa di precisamente delimitato. Qui appunto le cose sono diverse: le barche appaiono dai contorni precisi e del tutto ferme, tranquille, in aggiunta sono assicurate da cavi che ne impediscono ulteriormente lo sbatacchiamento, sono barche rientrate dal viaggio in mare e protette a doppia mandata per così dire. Le barche in ormeggio potrebbero essere state raffigurate anche prima della partenza, ma la loro Spazialità Dinamica dice il contrario: nulla fa intravedere che si tratti di un ormeggio pronto a salpare le ancore, la staticità dell’immagine associa più direttamente il ritorno a casa, il cessare dei fuochi per così dire. Inoltre sono piccole imbarcazioni non idonee a viaggi avventurosi negli oceani e nel mare aperto, ma adatte a muoversi comunque nelle vicinanze di casa, della terraferma. I colori sono tenui e smorzati, delicati come sempre nell’arte che connota questa pittrice, quieti come lo richiede il desiderio di pace e tranquillità in un esistere che sa di tempeste e mari mossi – la barca è comunque mezzo che solca il mare –, ma che esalta la bellezza della vita raccolta a casa, al sicuro dalla bufere concrete e metaforiche che pure ci possono essere. Nella cristallizzazione di un ormeggio assicurato in mille modi si ha la visione del mondo che Patrizia Ruggeri vorrebbe fosse quella possibile: un’esistenza fuori da rischi e pericoli, colta nel momento in cui la sicurezza è massima, appunto al riparo, nel ritorno a casa. In Mare mosso si ha uno scorcio di mare prima di una possibile tempesta, quando le onde si susseguono veloci e si frangono sulle precedenti incalzate da quelle che provengono dal mare più ampio producendo schiuma senza essere ancora molto alte. Ciò che colpisce è la minacciosità dei colori di tali acque, scure e ostili, ossia non è raffigurata una tempesta vera e propria e l’ammirazione per un evento della natura che spesso si impone agli umani e in particolare agli artisti proprio per la sua potenza e anche magnificenza, ma è rappresentata l’angoscia riferita ad un mare nel mentre si sta facendo non amico, bensì temibile, sinistro, incombente nella sua aggressività annunciata. Il mare è da sempre simbolo inconscio della vita umana, in bonaccia e tempesta e senz’altro la Ruggeri, pittrice per eccellenza della misura e dell’equilibrio dei sentimenti, non ama una vita spesa in guerra, ma vissuta in pace, dove si può avere la possibilità di dare il meglio di sé e di dare un senso positivo alla vita. In Boe è raffigurato uno scorcio di mare con cielo nuvoloso e promettente temporale, ma anche si vede a sinistra dell’immagine un telone a forma tetto e casa, quindi non solida come le case nella più solida terraferma, ma comunque una casa assicurata alle boe di legno che le stanno intorno e che evitano per il possibile che la struttura sia travolta dal moto ondoso. Anche qui domina il desiderio di protezione di fronte al mare grosso, la volontà di riparo e di difesa dalle aggressioni per quanto minacciose questa possano essere. In Paesaggio marino non vi sono ancoraggi di nessun genere e il mare mostra il suo lato sinistro in tutta la sua realtà di mezzo pericoloso per l’incolumità della vita umana. Sul piano estetico dei simboli è rappresentata con grande maestria nella tecnica e nella scelta dei colori la situazione di pericolo e di sgomento dovuta alla solitudine che domina il paesaggio dove nessun riparo e nulla di umano compaiono all’orizzonte, mentre la separazione tra mare e costa quasi non si percepisce come nel più classico incubo, dove non si sappia dove cessi il suolo sicuro e inizi lo sprofondamento nelle acque. Così nella visione del mondo cui questi acquarelli densi di significato di Patrizia Ruggeri danno espressione artistica.

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Rita Mascialino, Daniela Savini: Tormento d’identità, Ansia e preoccupazione di una madre, L’ultima cena, Nell’oscuro, Il lavoro nobilita l’uomo. Pittura:III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

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Le opere di Daniela Savini dai titoli Tormento d’identità, Ansia e preoccupazione di una madre, L’ultima cena, Nell’oscuro e Il lavoro nobilita l’uomo, sono sia dipinti ad olio che incisioni a puntasecca, ossia ottenute senza l’utilizzo dell’acido, come il nome della tecnica evidenzia, bensì con una punta metallica direttamente sulla matrice che forma cosiddette barbe o bavette dovute al metallo rialzato e come lievemente accartocciato su di sé le quali danno all’immagine così incisa e inchiostrata il suo particolare aspetto riconoscibile che conferisce morbidezza alle immagini.

Nel dipinto ad olio Tormento d’identità si ha una donna, come si evince dal volto bellissimo, il cui corpo tuttavia presenta molti tratti maschili. La Savini, che è pittrice per eccellenza della più grande crisi d’identità che abbia mai afflitto i due sessi come nell’epoca attuale, raffigura in tale dipinto la tristezza che tale più dinamica interpretazione dell’identità maschile e femminile, nel caso appunto femminile, tristezza non solo per un aspetto misto e composito, ma anche e soprattutto per l’effetto sulla personalità della protagonista del dipinto. La persona rappresentata mostra solo parzialmente il capo come supporto del volto, ma appunto non ritratto, segno diretto in questo contesto di idee ed emozioni che è la testa e quanto vi sta dentro, ossia i circuiti cerebrali e metaforicamente quindi, per così dire, la personalità e identità che per loro virtù si realizzano, che non è più a senso unico quanto a caratteristiche tradizionalmente tipiche del genere. La donna indossa pantaloni e ha assunto una posa molto poco femminile e più maschile, senza riservatezza, anche in questo simile alla noncuranza delle posture maschili che non mostrano in genere alcuna riservatezza nell’esibizione del loro corpo. Il busto di tale donna, senza le fattezze di norma femminili e particolarmente importanti come contrassegno del ruolo femminile, risulta alla vista come fosse fasciato con una garza, una benda, come fosse il risultato di una ferita appunto medicata, a sua volta risultato di un’asportazione, da cui il tormento di identità. Nella tela ad olio Ansia e preoccupazione di una madre si ha ancora il medesimo tema diversamente elaborato nei toni del più caldo marrone e tonalità del rossastro. Qui c’è un volto per così dire tradizionale di una madre anche vestita in modo femminile, quasi una madre d’altri tempi con il capo contornato non da un’aureola divina, ma da una cornice bianca come simbolo di purezza, quella purezza che un tempo era pretesa per le donne come omaggio e anche sacrificio dovuto alla famiglia, al compagno. La sua preoccupazione non è tuttavia solo quella per i propri figli, bensì tale preoccupazione, comunque presente implicitamente nel termine madre, si rivolge più direttamente a se stessa, alla propria identità che nel profondo non appare come nel volto mostrato e che indirettamente coinvolge anche l’educazione dei figli. Tematica rilevante quella presentata in questa tela da Daniela Savini che sempre più si individua come grande artista del Duemila. Di fatto anche la madre non può più essere oggi come quella di una volta, solo votata al sacrificio per la sua prole, per gli altri in generale. In tal senso si nota a sinistra guardando il dipinto un volto di donna messo trasversalmente, ben diverso da quello esposto allo sguardo di tutti in primo piano, un po’ come una seconda identità tenuta nascosta al prossimo, ma ben presente alla donna, un volto laterale che mostra tratti espressivi inquietanti o almeno tali per il ruolo di madre. Si intravedono anche come in sovraimpressione due mani della stessa che legano e tirano dalla propria parte l’effigie in primo piano, che appare perplessa e dubbiosa sul da farsi per affrontare la duplice identità. In altri termini: la madre sente affiorare nelle pieghe più nascoste del proprio Sé una figura meno materna e soprattutto spregiudicata nell’espressione degli occhi. Tale diversa identità appare alla madre quasi come quella di un demone malvagio, tanta è ancora nella donna, in questo dipinto, l’assoggettamento a ruoli che le impongono il sacrificio di sé, al punto che ogni discostamento dal modello sacrificale che ha portato da tempi immemorabili sulla sue spalle le fa paura, come non se ne sentisse all’altezza e come lo avvertisse come deragliamento dai suoi doveri, da quei doveri che la tradizione, si deve dire patriarcale e maschilista, le ha imposto con le buone o, più spesso, con le cattive. La persona raffigurata non è solo una donna, è una madre che ancora teme di presentarsi ai suoi figli con un volto meno tradizionalmente materno, con tratti meno ideali e idealizzati. Nel dipinto ad olio L’ultima cena si ha una interpretazione originale e anche piuttosto audace dell’ultima cena. In luogo del sangue di Cristo sta una ciotola di ciliegie che spargono attorno il loro succo rosso, tutt’altro che sacrificale. L’uomo sta a tavola da solo, alla fine del pasto, a bocca sporca di ciliegie e guarda in alto sconsolato, infastidito, un Cristo, se dobbiamo tenere per buono il titolo, visibilmente stufo del suo ruolo sacrificale e più propenso per una vita almeno normalmente godereccia come le ciliegie simboleggiano alla fine del pasto in luogo del vino inteso come sangue della vicina uccisione di Cristo. Un Cristo dunque che pare pentito di avere accettato il suo ruolo di agnello sacrificale e che preferisce la vita terrena con le sue bontà da godere. Il fastidio viene in lui provocato allora per il contrasto con quanto pare debba essere e quanto il personaggio invece ha realizzato o realizza perché voluto come individuo. Anche qui un deragliamento per così dire da ciò che la tradizione appunto tramanda, un deragliamento solo apparentemente blasfemo, in realtà solo prospettante un disagio che coinvolge oggi anche il sentimento religioso, in crisi come ogni valore nell’epoca nuova. E anche qui un busto maschile che associa nella mollezza e morbidezza qualcosa di femminile ed in aggiunta l’immagine presenta una tavola di vetro che riflette le prospettive sfasandole così che l’uomo pare continuarsi in un corpo grasso e femminilmente impostato, da buona donna di casa. Ci sono ora due incisioni a puntasecca. Una, Nell’oscuro, riguarda il ritratto di un uomo raffigurato di profilo, senza corpo ma sospeso in aria, ossia senza una base su cui poggiare in stabilità, per così dire campato in aria. In una metà della testa si vedono capelli maschili, nell’altra metà si intravede una chioma sul genere del femminile. Al suolo sta abbandonato il famigerato frutto del Giardino dell’Eden, la mela che nessuna donna dà a quest’uomo e che quest’uomo è ben lungi dal poter cogliere e utilizzare. Ancora un uomo dunque in grande crisi, senza più i consueti punti di riferimento, senza poter contare sul suo corpo maschile di cui è andato così fiero in quello che appare ormai un passato che non funge più da base sicura per i comuni valori. Nell’altra incisione a puntasecca Il lavoro nobilita l’uomo sta di nuovo un uomo di cui si vede il busto fino al basso ventre, mentre il resto del corpo è sfumato e comunque non è raffigurato, un uomo senza visibili gambe e in apparente degrado psicofisico, in atteggiamento di stanchezza e nessuna eleganza, seminudo. Quest’uomo, pur posto in prospettiva frontale con il corpo e con mani appoggiate nella cintura in modo per così dire arrogante e poco disponibile per gli altri, ha tuttavia la testa girata da un lato ad occhi bassi, come se guardasse scontento chi l’avesse apostrofato. Il titolo dell’incisione evidenzia sul piano dell’ironia come il lavoro delle braccia non sempre nobiliti l’uomo e altro sia implicitamente ciò che può nobilitarlo, ossia il lavoro della mente.

Così in queste opere realizzate in grande padronanza di tecniche pittoriche e incisorie di Daniela Savini che tratteggia la sua visione di un mondo che riflette la crisi dell’uomo e della donna, non più in sintonia con i valori della tradizione e nel contempo non completamente sicuri dei nuovi valori che li vedono cambiati, ma ancora non in possesso della loro nuova identità come questa si prospetta nel giungere dei tempi nuovi.

Rita Mascialino

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Rita Mascialino, Isabelle Turrini: Marina con fiori e Sentiero sul mare. Acrilico su tela: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

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I dipinti di Isabelle Turrini Marina con fiori e Sentiero sul mare raffigurano realisticamente due scorci diversi di una medesima marina i quali si continuano l’uno con l’altro. I particolari della vegetazione sono molto precisamente curati e l’azzurro intenso del mare è in armonia di sfumatura cromatica con l’azzurro chiaro del cielo sereno, ciò in una visione tranquilla del paesaggio, senza venti che ne turbino la staticità. L’assenza di turbamento nella natura è uno dei contrassegni ricorrenti nell’arte di Isabelle Turrini come anche il tratto breve, sottile e preciso lo sono. In particolare si evidenzia, tra l’altro, nella leggerezza che connota i fiori di queste marine la grande abilità tecnica della Turrini che si presenta come padrona del colore, del disegno e della pennellata. Nella citata staticità è espresso il desiderio di vedere la realtà come qualcosa che non muti, che resti sempre uguale e con ciò dia sicurezza e insieme anche l’illusione che il tempo non passi mai, che tutto possa permanere per sempre com’è, un’illusione che infonde pace nell’anima di chi guardi questi bellissimi dipinti di Isabelle Turrini.

Rita Mascialino

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Rita Mascialino, Bruno Vallan: Paesaggio carsico 1, 2, 3. Acrilico su tela: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

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La trilogia di Bruno Vallan intitolata al Paesaggio carsico offre un’interpretazione del Carso molto stilizzata e molto simbolica, quasi astratta. Domina la gamma dei grigi e degli azzurrini sfumati interrotti da qualche spazio giallo e rosso come si può osservare soprattutto nella flora carsica autunnale, da qualche linea più scura. La pennellata spezzetta l’immagine in croci e semicroci, lineette e virgole che si associano seppure molto lontanamente all’ottica divisionista e che nell’insieme rendono viva l’immagine dell’intrico della natura di rovi, fogliame e fiori che si stagliano su uno sfondo di cielo grigio che si confonde a sua volta con il terreno pure nei toni del grigio e del marrone appena accennato. Una natura non dai toni forti quella di Bruno Vallan, quasi parcellizzata e che esprime tutto l’amore dell’Artista per i piccoli paesaggi, i piccoli fiori, le piccole piante, le tinte tenui, in altri termini: la meraviglia di fronte alla vita nascosta della natura, come si mostra a un occhio attento ai piccoli fenomeni che in genere passano inosservati ad occhi adatti a vedere ciò che colpisce per grandezza ed evidenza e trascurano quanto ha bisogno di un’osservazione più in profondità, microscopica per così dire, quell’osservazione che pone l’uomo in un contatto quasi intimo con la natura, come ce lo presenta l’arte di Bruno Vallan.

Rita Mascialino

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Rita Mascialino, Erna Vukmanic: Il tempo beato, Il tempo perso, Il bacio. Olio su tela: III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

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Nelle tre deliziose caricature per tipi psicologici di Erna Vukmanic Il tempo beato, Il tempo perso e Il bacio sono presentate tre importanti situazioni esistenziali corrispondenti a tre diversi modi di interpretare la vita. La tecnica mostra un disegno di fondo dominato magistralmente e una pennellata sicura del tutto liscia e a contorni precisi, sapiente nelle mescolanze dei colori anch’essi netti e poco sfumati che per questo esaltano maggiormente le forme sugli sfondi. Si tratta di caricature piacevoli, non satiriche, non cattive né corrosive, ma che vedono il mondo umano con occhio bonariamente ironico e sdrammatizzante in un’ottica disillusa, ma non scettica, né cinica, ossia che non toglie valore a ciò che lo ha. Nel dipinto Il tempo beato è raffigurato il modo di vivere pacifico di chi ama dormire e trattarsi bene, mangiare buone cose – l’individuo è felicemente grasso –, il letto non può essere più soffice, la sveglia è posta nel letto stesso verosimilmente per essere spenta agevolmente più che per alzarsi presto come indicano le lancette. L’uomo dorme contento di godere il sonno dei giusti e non pare avere alcuna preoccupazione del domani, approfitta del buono che la vita offre in tranquillità, lontano da ambizioni e cure che tolgono il sonno. Nel dipinto Il tempo perso invece si ha una donna che rimpiange di avere perduto il tempo migliore senza aver goduto di quanto la vita può dare, nel suo caso un buon marito, dei figli, all’apparenza è sola e come dice il titolo della caricatura il tempo è ormai perduto, non più recuperabile, ed è come se aspettasse un treno che non potrà più passerà perché perso per sempre, una caricatura che enfatizza la vanità dell’attesa di un cambio di rotta che non può verificarsi aspettando passivamente e recriminando senza fare nulla. Nella terza opera esposta Il bacio i due personaggi sono travolti dalla passione e stanno assieme e uniti nella gioia. I volti di questi tipi hanno in comune la medesima forma appuntita verso il mento un po’ come una pera o un uovo rovesciati, ciò che costituisce un Leitmotiv dello stile di Erna Vukmanic che mostra qualche eco, per quanto lontana e parziale comunque identificabile, di Toulouse-Lautrec, caricaturista molto delicato, eco che si evidenzia in qualche spazialità del movimento nei personaggi, delle posture e che l’Artista sviluppa in modo originale. Rispetto alla leggerezza che connota le figure caricaturali di Lautrec i tipi di Erna Vukmanic appaiono solidi come i colori suggeriscono nella loro compattezza e delineati come i contorni senza sbavature e sfumature evidenziano. Le figure rappresentate appaiono quasi dotate di peso e concretezza e restano perciò particolarmente impresse nella mente di chi le osserva e ne ricava, nell’ironia che le connota, un alleggerimento del pathos intrinseco all’esistere, così che vengono a formare una visione filosofica del mondo improntata alla saggezza, al lieve sorriso sulle debolezze umane, sulle passioni stesse.

                                                                                                                                           Rita Mascialino

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Scorci della III Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® V Edizione 2015: Kulturni Center Lojze Bratuž, Gorizia

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