Il Pragmatismo (Charles Sanders Peirce)

Citazione dalla Parte I della Tesi di Laurea Specialistica (cinque anni) di Massimiliano Boscolo, relatore prof. Carlo Peretto, Università di Ferrara, Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali.

 “Antropologia culturale: L’Ipotesi Spaziale evoluzionistica di Rita Mascialino per una semantica del linguaggio su base oggettiva”

 

Capitolo 1.B

Il Pragmatismo (Charles Sanders Peirce)

Premessa:

Il fondatore ufficiale del Pragmatismo è il matematico e logico statunitense Charles Sanders Peirce (Cambridge, Massachusetts, USA 1839-Milford, Massachusetts 1914), fondatore anche della moderna semiotica americana.

Il Pragmatismo è stato prodotto dal suo ideatore come una teoria del significato, un metodo per chiarire il significato a livello di produzione linguistica e concettuale, e così è stato ritenuto e viene ritenuto tuttora da parte degli studiosi.

Seguono qui alcune informazioni fondamentali relative alla teoria perciana per darne preliminarmente la forma globale, più oltre si andrà in dettaglio.

Perni centrali della teoria nell’esposizione del suo fondatore come in quella dei divulgatori e prosecutori della stessa sono:

–          la soggettività del significato di pensiero e linguaggio;

–          il valore unico di pensiero e linguaggio come stimolazione all’azione;

–          il reperimento del significato di pensiero e linguaggio nelle abitudini del singolo soggetto, nelle azioni o nei fatti esterni.

Il Pragmatismo è noto anche, meno comunemente, con il termine Pragmaticismo, come lo denominò in un secondo momento Peirce nell’intento di distinguerlo dalle interpretazioni date al Pragmatismo da lui fondato soprattutto, anche se non solo,  dallo psicologo e filosofo William James (New York, N.Y., USA 1842-Chocorua, New Hampshire 1910), fratello del romanziere Henry James, nonché fedele amico di Peirce e massimo divulgatore del Pragmatismo, inoltre da altri seguaci del movimento. William James ed altri studiosi avrebbero secondo Peirce frainteso la sua teoria,  facendo del pensiero unicamente un mezzo per stimolare l’azione ed equiparando in qualche modo pensiero ed azione, concetto che a suo dire non si trova nelle sue opere. In realtà non si trattò di fraintendimento in quanto affermazioni che correlano pensiero e azione su un piano di diretta dipendenza e anche di una qualche equiparazione reciproca si trovano ovunque nell’opera di Peirce ed in ogni caso il concetto relativo al pensiero come stimolazione ad agire è addirittura il fulcro esplicito della sua teoria che riguarda appunto la riduzione del pensiero ai suoi effetti sull’agire umano. In aggiunta l’autore, anche ove cerchi di contestare le interpretazioni in questione, conferma al contrario l’opinione secondo la quale il pensiero non è che quanto esso produca in termini di azione, ciò che consolida i punti chiave della sua teoria nonché delle divulgazioni e interpretazioni della stessa che solo introducono differenze esplicative ininfluenti sul corpo ideologico del Pragmatismo. Il Pragmatismo risulta pertanto all’analisi essere stato compreso dai suoi divulgatori che, applicandolo, ne hanno dato una verifica per come può essere data di una teoria che non ha solidi fondamenti nel pensiero scientifico.

Sfondo scientifico-culturale:

I tratti fondamentali scientifico-culturali che fungono da sfondo per il Pragmatismo sono:

1. la contrapposizione all’evoluzione di Charles Darwin;

2. la filosofia in generale ed in particolare quella degli idealisti tedeschi Hegel, Fichte e Schelling che derivano i concetti fondamentali delle loro teorie dalla filosofia dei presocratici, nonché quella di Kant tra i numerosi altri;

3. il movimento trascendentalista sorto nel Nordamerica nel primo Ottocento e specificamente rappresentato dal poeta Ralph Waldo Emerson;

4. le Sacre Scritture vetero- e neotestamentarie;

5. la logica matematica;

6. la semiotica.

1. Peirce conosceva l’evoluzione di Charles Darwin (1809-1882), ma, secondo le sue stesse parole, non la condivideva, ritenendo che sia Darwin che i darwiniani non comprendessero la teoria stessa che avevano prodotto e che divulgavano. Peirce applica l’evoluzione non solo alla vita, che è il suo legittimo ambito di applicazione e la sua ragione d’essere, ma anche all’universo che secondo il suo pensiero evolverebbe più o meno come un essere vivente esso stesso. Secondo Peirce la mente umana non evolverebbe in base all’adattamento, principio cardine dell’evoluzione assieme a quello della selezione naturale, bensì in base a finalità poste dalla divinità nell’universo che viene concepito teleologicamente e teologicamente, finalità di origine divina che stanno di conseguenza in tutto quanto sta dentro all’universo, mente umana compresa, la cui evoluzione è quindi retta da fini divini da seguire, da realizzare, un po’ come nell’Intelligent Design, di cui più oltre.

2. Peirce, che ha rifiutato i conseguimenti più nuovi in ambito scientifico rappresentati all’epoca soprattutto dall’evoluzione,  è incline a vedere l’origine del mondo non attraverso la prospettiva scientifica quale che sia, bensì attraverso quella filosofica non intesa come appartenente alla filosofia della scienza, ma all’insieme delle congetture soggettive sul reale. Al proposito prende in considerazione soprattutto le filosofie degli idealisti tedeschi i quali a loro volta derivano le loro congetture dal pensiero dei presocratici, in particolare non dai filosofi naturalisti quali Talete e Anassimene, che in ogni caso avevano cercato nella materia, rispettivamente nell’acqua e nell’aria, l’archè o principio originario unitario da cui il mondo e la vita essi ritenevano si fossero originati, bensì ed in primo luogo da coloro che avevano fatto derivare tutto, l’universo e l’uomo, dal logos o pensiero puro o discorso o verbo di origine divina. Peirce asserisce di differenziarsi dai principi hegeliani, ma anche questo suo intento di distinguersi dalla filosofia di Hegel Peirce lo afferma soltanto senza dimostrarlo. Da un lato egli ammette di essere in piena sintonia con l’Idealismo Assoluto di Hegel (Peirce in Hartshorne & Weiß 1998: 5, 290-292). Subito dopo espone una differenziazione secondo lui fondamentale tra il Pragmaticismo e l’Idealismo per quanto attiene alla categoria relativa al pensiero: Peirce afferma che tale categoria hegeliana dell’Assoluto non può costituire la realtà, ma è solo un ingrediente essenziale della realtà, ciò che sarebbe sufficiente a differenziare il Pragmatismo dall’Idealismo. In realtà Peirce, ponendo la divinità che è puro spirito a monte della creazione della realtà, dice esattamente la medesima cosa affermata da Hegel pur con qualche variante marginale, ossia che dal pensiero o dall’Idea o dallo Spirito derivi ogni realtà.

In armonia con tale congetturale modo di vedere il mondo, secondo Peirce la ragione non sta nella mente umana, bensì è la mente umana che sta nella ragione di tipo cosmico, nel logos, nello spirito, concetto arcaico condiviso dai presocratici e dagli idealisti stessi.  Relativamente a Kant, Peirce deriva da questo filosofo soprattutto il trascendentalismo, ossia il concetto secondo cui le basi della conoscenza sono a priori, ossia non deriverebbero dall’esperienza, ma la precederebbero rendendola possibile come principi universali del modo di conoscere umano; inoltre il concetto relativo all’etica del dovere, kantiana ed anche idealistica, fichtiana soprattutto.

3. Quanto al movimento trascendentalista nordamericano, esso sorge come ripresa e continuazione della filosofia kantiana delle categorie trascendentali o spirituali, ossia a priori rispetto all’esperienza, nonché della filosofia degli idealisti tedeschi. Si oppone all’empirismo e al razionalismo. Il suo rappresentante più importante, Ralph Waldo Emerson, si rifà, tra l’altro, agli idealisti, al Romanticismo inglese e tedesco nonché alle teosofie induiste e si oppone al razionalismo ritenuto inadeguato ad esprimere la ricchezza della personalità umana ed enfatizza appunto la componente individuale e soggettiva della personalità e del pensiero stesso, al centro dei quali pone il sentimento, l’intuizione soggettiva.

4. Le Sacre Scritture vetero- e neotestamentarie sono al centro del pensiero di Peirce che su di esse fonda e da esse deriva tutti i principi cardine del Pragmatismo o della Massima Pragmatica, concetto con cui egli spesso si riferisce al Pragmatismo come termine tecnico alternativo a questo e sintetico.

5. Peirce ebbe dal padre formazione logico-matematica che egli coltivò per tutta la vita occupandosi costantemente di logica. Gli viene ascritta in tale ambito la scoperta del processo dell’abduzione come primo momento dell’atto conoscitivo. In realtà l’abduzione era già stata teorizzata almeno da John Stuart Mill che la denominò induzione imperfetta o prima fase dell’ideazione cognitiva. Ora l’induzione imperfetta e l’abduzione identificano solo l’avviamento dell’ipotizzazione che porterà o dovrebbe portare alla conoscenza. Si tratta appunto, come ha ben detto John Stuart Mill, della primissima fase del processo induttivo, quella che ancora manca della verifica e della falsificazione, fase che deve essere seguita dall’induzione perfetta o comprensiva di verifica e di falsificazione e che deve portare alla categorizzazione e deduzione più o meno certa, mai comunque certa in assoluto – la conoscenza scientifica è sempre passibile di superamento, di correzione, di falsificazione, così che le affermazioni categoriche si basano su processi induttivi che per quanto perfetti non danno certezze assolute e quindi non sono assolute esse stesse. Peirce fa dell’abduzione un processo di fondamentale importanza per accrescere la conoscenza essendo questo secondo lui il processo che porterebbe avanti il conoscere, che aggiungerebbe il fattore di novità al conoscere, mentre la deduzione e l’induzione non apporterebbero nulla di nuovo. Ora occorre riconoscere che l’abduzione, dando solo avvio  al processo del conoscere, vale come avvio e non porta avanti nulla, in altri termini: occorre riconoscere che l’abduzione, da sola, porta solo alla congettura soggettiva. La novità per così dire che riguarda il vecchio concetto di abduzione – presente anche già in Aristotele come apagoge – rieditato in Peirce sta appunto nel fatto che Peirce enfatizza l’abduzione o il momento propriamente iniziale soggettivo dell’ideazione sugli altri due processi ascrivendole poteri che essa non ha, ciò in armonia con la centralità del soggettivismo nella sua teoria sul significato o Pragmatismo. In altri termini: l’abduzione di Peirce è un processo che sovrasta le altre due fasi, quelle dell’induzione perfetta e della deduzione, tanto da diventare una fase più o meno a sé stante, capace anche da sola di rendere conto dell’interpretazione della realtà. Di fatto, al di là delle affermazioni di Peirce sulla necessità che l’abduzione o prima fase dell’ipotizzazione sia seguita da verifiche e falsificazioni, Peirce verifica e falsifica molto poco, come si nota dal fatto che la maggior parte delle sue idee sono carenti di questi processi per così dire di epurazione dalla soggettività individuale. Quanto alla matematica in sé, Peirce se ne serve per qualche non frequente dimostrazione sparsa frammentariamente nelle sue opere.

6. Peirce, fondatore della semiotica americana, elabora il processo della semiosi in tre fasi: il representamen o parte materiale del segno; l’oggetto o referente del segno; l’interpretante o configurazione soggettiva del significato. Rispetto a Saussure, a lui contemporaneo, aggiunge il concetto di interpretante, ossia la elaborazione soggettiva del referente del segno da parte del soggetto, così che la relazione diadica tra segno e referente di Saussure diventa triadica e la parte soggettivo-individuale diventa di centrale importanza nella semiosi.

Scopo della presentazione:

Dimostrare il livello di scientificità proprio del Pragmatismo o teoria del significato di Peirce e l’inapplicabilità di detta teoria all’analisi e interpretazione del significato del linguaggio e del pensiero. La critica al Pragmatismo portata avanti in questo capitolo verte dunque fondamentalmente sulla verifica e falsificazione dell’applicabilità della teoria, come è il caso di qualsiasi teoria che voglia superare il livello posto dall’interpretazione popolare del termine che la riduce a congettura campata in aria, nonché sulla valutazione del tasso di coerenza logica intrinseca alla teoria, in quanto si ritiene che una teoria non debba albergare in sé un tasso di incoerenza che sia più che marginale e ininfluente sul corpo concettuale centrale della stessa. In tale critica non verrà aggiustato con completamenti o rimaneggiamenti lo scheletro concettuale generale della teoria in questione, in quanto si ritiene che i pensieri fondamentali e le teorie che su quelli si fondano vadano valutati per quello che essi sono. Il pensiero di Peirce verrà qui analizzato pertanto con un’analisi logica che rispetta i principi di non-contraddizione e di identità, mentre non sarà utilizzata la logica cosiddetta eraclitea che accetta la contraddizione. Saranno quindi identificate le fallacie più comuni che affliggono il pensiero di Peirce, l’incoerenza che inficia la sua teoria del significato.

Parallelamente, tale critica evidenzierà la separazione tra piano scientifico e piano in cui si struttura la teoria. Non sono state prese in  considerazioni eventuali eccezioni nel modo di argomentare di Peirce, bensì l’analisi verterà sui percorsi mentali che contraddistinguono la teoria stessa, quei percorsi che si ritrovano ripetuti in tutta la teorizzazione e che danno ad essa la connotazione specifica ed il valore che le competono. I testi delle citazioni che seguono sono tutti di senso compiuto in se stessi ed emblematici del generale tenore concettuale delle opere di Peirce.

Citazione Bibliografica dell’opera da cui sono estrapolati i testi in analisi:

Hartshorne Ch. & Weiß, P. (a cura di)

1998 Collected Papers of Charles Sanders Peirce.Bristol,England: Thoemmes Press: 8 volumes: reprint of the 1931-58 Harvard Edition: copyright 1934 by the President and Fellows of Harvard College.

CITAZIONE N. 1: [Peirce 5 Pragmatism and Pragmaticism: Book II, Published Papers, V, How to make our ideas clear: Some Applications of the Pragmatic Maxim, 403., 259-61. (Pragmatismo e Pragmaticismo: Libro II, Studi pubblicati, V, Come rendere chiare le nostre idee: Qualche applicazione della Massima Pragmatica)]                                                                                                                                                                                         

1a. Testo originale:

“403. Let us illustrate ( …) [the pragmatic] rule by some examples, and, to begin with the simplest one possible, let us ask what we mean by calling a thing hard. Evidently that it will not be scratched by many other substances. The whole conception of this quality, as of every other, lies in the conceived effects. There is absolutely no difference between a hard thing and a soft thing so long as they are not brought to the test. Suppose, then, that a diamond could be crystallized in the midst of  a cushion of soft cotton, and should remain there until it was finally burned up. Would it be false to say that that diamond was soft? This seems a foolish question, and would be so, in fact, except in the realm of logic (…) There such questions are often of the greatest  utility as serving to bring logical principles into sharper relief  than real discussions ever could (…) We may, in the present case, modify our question, and ask what prevents us from saying that all hard bodies remain perfectly soft until they are touched, when their hardness increases with the pressure until they are scratched. Reflection will show that the reply is this: there would be no falsity in such modes of speech. They would involve a modification of our present usage of speech with regard to the words hard and soft, but not of their meanings.”[1]

1b. Analisi critica:

Peirce asserisce, in coincidenza con la logica eraclitea che fa della contraddizione il fulcro del pensiero, che tutti i corpi duri non sono duri e sono soffici fino a che non vengano posti sotto pressione, non vengano toccati, ossia: alla condizione di non essere toccati perdono la loro identità di corpi duri e diventano, anzi restano addirittura corpi perfettamente soffici. Peirce mette in dubbio la durezza, ma non anche la sofficezza, in quanto mentre la durezza deve essere provata secondo lui, la sofficezza, sempre secondo lui, lo è già senza bisogno di prove. Dunque nel pensiero di Peirce, per altro, mentre la condizione di corpi duri si perde finché non vengano toccati quasi essi diventassero duri al tocco della mano, quella di corpi soffici viene ritenuta come una qualità stabile dei corpi prima che essi vengano toccati. I corpi duri quindi avrebbero due identità: la prima, fondamentale, è quella di corpi molli, soffici, non duri; la seconda, dovuta al contatto con altri corpi, è quella di corpi duri. Ossia ancora: nella fase dell’abduzione perciana i corpi duri sarebbero corpi molli e questa fase abduttiva – o prima fase della produzione dell’ipotesi o prima fase della ricerca scientifica – diventa fonte di conoscenza, così che il diamante messo a cristallizzare dentro un corpo soffice sarebbe giustamente, secondo le asserzioni di Peirce, da connotarsi come molle, come soffice esso stesso. Ora, un corpo dotato di nome come il diamante citato da Peirce e quindi già connotato come duro è duro e non è molle, che lo si tocchi dopo che esso ha ottenuto l’identità di corpo duro o no in quanto l’esperienza della sua durezza è già stata fatta dando appunto come risultato il nome diamante. Inoltre, eventualmente, se uno non sapesse che dentro al cotone si sta cristallizzando un diamante o qualcosa comunque di duro, l’esempio di Peirce non si potrebbe fare, in ogni caso non solo non si potrebbe pensare che il diamante fosse molle, ma non si potrebbe neanche sapere che cosa ci fosse o non ci fosse dentro al cotone. Per Peirce invece un corpo denominato e connotato come duro, ossia denominato in qualche modo e di cui si sa già pertanto che è duro come il diamante che appartiene all’insieme dei corpi duri, non solo non è duro finché non lo si sottoponga a pressione e graffio, ciò che è in patente contraddizione con l’identità già acquisita di  corpo duro, ma resta addirittura perfettamente soffice finché non vada sotto pressione, ossia acquisisce l’identità di corpo molle. In tale caso, Peirce condivide di fatto con Hegel lo stesso sguardo sul principio di identità. L’identità di qualcosa, dopo essere stata asserita di uno o l’altro oggetto, viene sempre posta sotto condizione anche in Hegel che non rispetta né il principio di identità né quello di non-contraddizione, appunto come Peirce ed il presocratico Eraclito tra gli altri. Si nota già da questo primo esempio come la fase abduttiva nel pensiero di Peirce, ossia quella fase che dà inizio ai processi dell’ipotizzazione, lungi dal sottoporsi alla verifica e alla falsificazione, tenda a sovrapporsi alle fasi della verifica e della falsificazione e a dare una conoscenza che Peirce considera accettabile a tutti gli effetti pur in assenza di qualsiasi prova.

1c.Risultati:

L’applicazione del Pragmatismo fornita da Peirce stesso alla conoscenza, come nell’esempio emblematico di cui sopra, ha dato all’analisi molto direttamente l’errore di comprensione, l’errore nell’argomentazione logica all’interno della quale non viene considerata la realtà delle cose, la differenza tra il vero e il falso. Se applichiamo la teoria del significato elaborata da Peirce all’interpretazione del significato del linguaggio comprensivo anche dei testi letterari, i più complessi a decifrarsi data l’assenza del riscontro con il reale concreto e materiale, si ha un soggettivismo privo di correttivo e lasciato in balìa dell’invenzione – o abduzione – dei significati per illogica e assurda questa possa essere e non corrispondente al vero, al reale.

In altri termini: l’analisi dell’esempio di cui sopra mostra che, per accettare la teoria del significato o Pragmatismo di Peirce, occorre fermarsi alle prime impressioni particolari di ordine abduttivo, senza passare poi alle generalizzazioni categoriche attraverso l’induzione, i processi di verifica e falsificazione, quelle che danno un sapere relativamente ma sufficientemente accertato e ben al di là del processo abduttivo isolato in se stesso. La logica di Peirce, per come risulta dall’analisi della Citazione N. 1,  risulta essere una logica dell’assurdo.

CITAZIONE N. 2 [Peirce 5, Pragmatism and Pragmaticism, Book I, Lecture 1, Pragmatism: The Normative Sciences. §1. Two Statements of the Pragmatic Maxim, 15. (Pragmatismo e Pragmaticismo, Libro I, Lezione 1, Pragmatismo: le scienze normative. §1. Due asserzioni della massima pragmatica)].

2a. Testo originale:

“Pragmatism is the principle that every theoretical judgment expressible in a sentence in the indicative mood is a confused form of thought whose only meaning, if it has any [!], lies in its tendency to enforce a corresponding practical maxim expressible as a conditional sentence having its apodosis in the imperative mood.” [2]

2b. Analisi critica:

Il punto esclamativo presente nella Citazione è inserito dallo scrivente onde evidenziare il giudizio di Peirce quanto al significato del pensiero espresso in linguaggio, il quale significato è al centro della sua teoria del significato. Peirce, riferendosi al significato del pensiero specificamente relativo al giudizio conclusivo di un’argomentazione a livello logico-linguistico, afferma “se ne ha uno”. Dunque nella teoria del significato elaborata da Peirce l’esistenza del significato del linguaggio e quindi della logica stessa viene messa in discussione, viene dubitata, anzi, più esattamente, nella forma “, se ne ha uno,” riferita al significato del giudizio conclusivo o apodosi, viene messo in rilievo il fatto che non vi sia nessun significato inerente ad un tale pensiero, al giudizio logico o che non sia interessante il significato eventuale del pensiero, del linguaggio. Il giudizio conclusivo nelle proposizioni logiche quindi non ha significato secondo Peirce e, se ne ha uno, è quello di introdurre la forma dell’imperativo e di condurre ad un’azione. A quale azione possa mai condurre qualcosa che non ha significato, è del tutto evidente: ad un’azione altrettanto senza senso, altrettanto confusa, come non può essere altrimenti.

Basterebbe la frase in questione, evidenziata attraverso il punto esclamativo tra parentesi quadre nella citazione, per abbattere la cosiddetta teoria del significato elaborata da Peirce, il Pragmatismo, la massima pragmatica appunto o Pragmaticismo. Si tratta di una teoria del significato che elimina il problema del significato, molto semplicemente con un colpo di spugna. Il linguaggio dell’argomentazione logica, che è il più preciso, e maggiormente ancora il linguaggio nelle sue ulteriori forme è per Peirce, l’ideatore della teoria del significato da lui denominata Pragmatismo/Pragmaticismo, privo di significato tranne forse quello di più o meno vaga stimolazione all’azione. Come già accennato, si tratterebbe nel caso di un’azione essa stessa sganciata dal reale e frutto di soggettiva impostazione di pensiero, in ogni caso di un’azione facente parte del processo relativo all’assurdo.

2c. Risultati:

Non possiamo applicare la teoria del significato elaborata da Peirce all’interpretazione del significato dei testi letterari, ma neppure del linguaggio in generale e neppure al significato dell’argomentazione logica, del periodo ipotetico, in quanto il pensiero espresso in linguaggio risulta non avere significato né nell’argomentazione logica né in generale secondo Peirce e serve eventualmente solo a stimolare un’azione, ciò in piena confusione di interpretazioni soggettive, prive di aggancio al reale o con aggancio casuale o scarso al reale.

CITAZIONE N.3 [Peirce 5 Pragmatism and Pragmaticism: Book II, Published Papers, V, How to make our ideas clear: §2. The Pragmatic Maxim, 402., 258-260. (Pragmatismo e Pragmaticismo: Libro II, Studi pubblicati, V, Come rendere chiare le nostre idee: §2. La Massima Pragmatica)]                                                                                                                                                                                         

3a. Testo originale:

“Before we undertake to apply this [the pragmatic] rule, let us reflect upon what it implies. It has been said to be a sceptical and materialistic principle. But it is only an application of the sole principle of logic which was recommended by Jesus: ‘Ye may know them by their fruits’, and it is very intimately allied with the ideas of the gospel. We must certainly guard ourselves against understanding this rule in too individualistic a sense (…) Their fruits is, therefore, collective, it is the achievement of a whole people. What is, then, that the whole people is about, what is this civilization that is the outcome of the history, but is never completed? We cannot expect to attain a complete conception of it; we can see that it is a gradual process (…) We may say that it is a process whereby man, with all his miserable littleness, becomes gradually more and more imbued with the Spirit of God, in which Nature and History are rife  (…) As to the ultimate purpose of thought, which must be the purpose of everything, it is beyond human comprehension (…) It is by the indefinite replication of self-control upon self-control that the vir is begotten, and by action, through thought, he grows an estethic ideal, not for the behoof of his own poor noodle merely, but as the share which God permits him to have in the work of creation. ”[3]

3.b Analisi critica:

Peirce stesso, esplicitamente, ci dice quale sia il fondamento della sua massima. Esso non sta in uno o l’altro conseguimento scientifico, né deriva da osservazioni scientifiche o logiche di Peirce. Il suo fondamento, ossia ciò che sta non solo sullo sfondo culturale del Pragmatismo, ma ne costituisce la base, è una frase del Vangelo, specificamente di Gesù: “Ye may know them by their fruits”, “Li riconoscerete dai loro frutti”, frase che Peirce ha interpretato non nel contesto in cui si trova secondo il significato che ad essa ha dato Gesù all’epoca e che si riscontra leggendo la frase nel suo contesto linguistico, ma isolatamente dal contesto e sganciata dal significato che essa ha in Gesù. Peirce ha ascritto ad essa un significato che si è costruito secondo i suoi scopi soggettivi e personali, secondo quanto essa ha, pragmaticamente ed abduttivamente, stimolato in lui e non sul piano oggettivo delle verifiche inferenziali a proposito di quanto essa possa significare nel contesto in cui si trova originalmente. Si tratta dunque di significati relativi agli scopi soggettivi di Peirce non aventi a che fare con la frase di Gesù. Con una generalizzazione affrettata, passando dal particolare al generale senza controllare né uno né l’altro, Peirce ha reso la frase adatta ad avvalorare appunto pragmaticamente il suo Pragmatismo, per altro commettendo in aggiunta la fallacia dell’appello all’autorità – Gesù è un personaggio importante, almeno secondo Peirce che è un pensatore di estrazione religiosa – ed anche la fallacia della falsa analogia. Evidenziamo quest’ultima fallacia. Gesù dice che le persone che agiranno a suo nome saranno riconosciute dai frutti delle loro azioni, come si apprende dal Vangelo (Matteo 7,20 in Edizioni Paoline 1964), buoni o cattivi a seconda che siano veri o falsi profeti. Dunque non si tratta in Gesù di riconoscere idee, pensieri dai loro frutti nel reale, nella pratica, ma di riconoscere l’identità buona o cattiva delle persone dalle loro specifiche azioni, mentre Peirce dice, compiendo un salto logico non da poco, che i frutti dei pensieri in generale, ossia le azioni e le abitudini e simili provocate o causate dai pensieri, dalle idee, faranno riconoscere la natura non delle persone come in Gesù, ma delle idee stesse in generale. A questo, a questa falsa analogia dovuta ad una non comprensione del pensiero di Gesù espresso in linguaggio e conseguente al soffermarsi e fermarsi sull’abduzione, ossia sulla prima cosa che venga in mente secondo la soggettività del proprio vissuto, Peirce fa risalire il fondamento del Pragmatismo. Peirce afferma inoltre che l’ultimo scopo del pensiero, che deve essere “lo scopo di ogni cosa” – concetto questo assurdo –, sarebbe oltre l’umana comprensione:  ossia tale scopo ultimo, che secondo Peirce comunque esiste, non si può comprendere, resta incompreso tranne che per quel poco che il dio ebraico-cristiano ha concesso all’umanità.

Dunque: la teoria del significato elaborata da Peirce ha al suo centro il concetto relativo addirittura alla non comprensibilità del pensiero, del linguaggio che lo esprime, del mondo, delle idee stesse, degli scopi intrinseci alle idee, ossia ai loro significati, al loro aggancio con il reale. Ora una teoria del significato la quale voglia chiarire le idee sul significato, come dice ripetutamente Peirce, non può avere alla sua base l’impossibilità di chiarirle, ciò che per Altro testimonia della base non scientifica su cui poggiano i concetti e le teorie di Peirce, ma questo è quanto la logica eraclitea di Peirce fornisce. Peirce consiglia inoltre di non prendere la regola logica di Gesù in modo troppo individualistico, ma questo non significa niente in termini operativi, è un concetto vuoto di referente. Peirce continua la sua argomentazione dicendo al proposito in aggiunta che solo la divinità può conoscere i fini ultimi del pensiero la cui comprensione resta preclusa alla “miserabile piccolezza umana”, così che gli uomini possono gradualmente crescere nello “Spirito di Dio” nel quale vengono a maturazione natura e storia. L’uomo quindi può soltanto rendersi conto gradualmente che la sua funzione è quella di realizzare i piani dello Spirito divino, ossia può rendersi conto gradualmente dei fini ultimi del pensiero e questo non per il vantaggio della propria testa che Peirce definisce “zucca” nell’intento di mostrarsi piccolo di fronte alla divinità, bensì per la gloria della divinità. Dapprima lo scopo ultimo del pensiero viene dichiarato al di là della capacità di comprensione umana, adesso il suo scopo diventa gradualmente comprensibile attraverso un ideale estetico, o contemplativo, e attraverso l’azione derivata o stimolata dal pensiero, questo in contraddizione con quanto appena subito prima affermato: o lo scopo ultimo è al di là della comprensione o non è al di là della comprensione, non può essere al di là della comprensione e nel contempo essere a portata della comprensione per quanto graduale questa possa essere o apparire. A questo punto emerge inferenzialmente a quale altro principio si ispiri implicitamente, ossia non espressamente e ciò per ovvi motivi, il Pragmatismo perciano come elaborazione teorica: al concetto espresso nella leggenda della Torre di Babele come maledizione scagliata dalla divinità sugli uomini affinché non potessero capire il significato del linguaggio e fossero costretti a restare chiusi nel loro soggettivismo, impossibilitati a capire e giungere così sino a lui restando quindi sempre inferiori alla divinità.

Tali idee non sono comunque solo relative alle Sacre Scritture, ma anche, tra l’altro, al pensiero di Hegel, per il quale l’uomo con la sua storia realizza i piani della divinità, nonché anche al pensiero di Fichte per quanto attiene all’azione e al pensiero di Schelling per quanto riguarda l’ideale estetico, idee che Hegel per altro tutte riassume nella sua Logica o, secondo lui, scienza dell’Assoluto in una sovrapposizione del concetto di logica con quello di logos degli antichi. Ricordiamo anche che per Hegel la filosofia è superiore alla scienza, ossia il livello congetturale – percianamente abduttivo – è superiore al piano scientifico.

Infine Peirce introduce il piano morale, a somiglianza di quanto afferma l’etica del dovere e dell’azione degli idealisti tedeschi nonché dell’imperativo categorico di Kant. Al proposito parla del latino vir inteso come uomo virile il quale diventerebbe tale grazie all’azione stimolata dal pensiero ed esercitando il controllo di sé non per la propria gloria, ma per quella della divinità, come già accennato. Ora questo concetto di vir, uomo virile o maschio, poco o niente c’entra con la teoria del significato o Pragmatismo. L’unico senso che può avere questa entrata del vir nel Pragmatismo può essere il desiderio di Peirce di avere quell’autocontrollo che gli mancò per tutta la sua esistenza, ossia verosimilmente si tratta di una proiezione inconscia dei suoi desideri relativamente alla personalità che non ebbe.

3.c Risultati:

La teoria del significato di Peirce, come dalla citazione in analisi, si basa sulla presa d’atto che i pensieri abbiano uno scopo ultimo al di là della comprensione umana, uno scopo ultimo inconoscibile che coinvolge il significato del pensiero in generale. Il fatto che la teoria del significato implichi che il significato non possa essere conosciuto, come già l’affermazione perciana della citazione N. 2 che il pensiero e il linguaggio addirittura della logica non abbiano significato alcuno, evidenzia di nuovo come l’unico piano possibile della significazione sia per Peirce assurdamente quello non cognitivo e soggettivo in senso individuale. L’applicazione della massima pragmatica dunque è in piena armonia con l’invenzione di qualsiasi significato, a piacere dell’interprete: dove il significato ultimo, ossia lo scopo ultimo, del pensiero non può essere capito, anche i significati o gli scopi contingenti non possono essere compresi che parzialmente, per cui non resta che la congettura soggettiva di un’abduzione isolata dal resto dei processi logici, congettura che lascia alla divinità la comprensione e la conoscenza ultime di ogni cosa. Peirce non si è accorto che una comprensione e conoscenza graduale dello scopo ultimo del pensiero elimina il fatto che detto scopo ultimo stia al di là dell’umana comprensione, ciò in una non osservanza del principio di non-contraddizione. Secondo la  Mascialino, come accennato, la teoria del significato di Peirce per come appare dai testi delle sue opere si colloca come realizzazione del concetto biblico della Torre di Babele, non citato espressamente da Peirce, ma rilevabile dalla teoria del significato di Peirce: la soggettività dei significati espressi dal linguaggio – nel mito lingue diverse perché venga meno la possibilità di comprensione tra gli umani –, voluta dalla divinità, sarebbe insuperabile.

Così, dove ciascuno può dare al linguaggio significati tratti dalla sfera soggettiva e individuale secondo il vissuto di ciascuno, anche la non comprensione degli eventi viene legittimata, così che anche la logica perde la sua caratteristica fondamentale di strumento di adattamento al reale e la spazialità delle figure logiche comprensive della conferma della spazialità delle premesse viene spazzata via, ciò che produce l’esatto corrispondente spaziale della Torre di Babele, dove ciascuno disponeva della propria visione soggettiva e pur parlando non poteva comprendere gli altri mancando qualsiasi piano oggettivo sui cui giocare il senso del significato, linguistico e non.

CITAZIONE N.  4 [Peirce 5 (…) Pragmatism and Pragmaticism (…) Lecture 1 (…) 15)]

4a. Testo originale:

“But the Maxim of Pragmatism, as I originally stated it, Revue Philosophique VII, is as follows:

‘Considérer quells sont les effets pratiques que nous pensons pouvoir être produits par l’objet de notre conception. La conception de tous ces effets est la conception complète de l’objet.[48.]

Pur développer le sens d’une pensée, il faut donc simplement déterminer quelles habitudes elle produit, car le sens d’une chose consiste simplement dans les habitude qu’elle implique. Le caractère d’une habitude dépend de la façon dont elle peut nous faire agir non pas seulement dans telle circonstance probable, mais dans toute circonstance possible, si improbable qu’elle puisse être. Ce qu’est une habitude dépend de ces deux points: quand et comment elle fait agir. Pour le premier point: quand ? tout stimulant à l’action dérive  d’une perception; pour le second point: comment? le but de toute action est d’amener au résultat sensible. Nous atteignons ainsi le tangible et le pratique comme base de toute différence de pensée, si subtile qu’elle puisse être. [47.]’ ”[4]

4b. Analisi critica:

Iniziamo con una parafrasi del primo paragrafo. Per sapere in che cosa consista il Pragmatismo, occorre considerare gli effetti pratici che si pensa possano essere causati dall’oggetto della propria  concezione o credenza o idea o del proprio concetto o pensiero, termini che in Peirce si devono considerare come sinonimi o appartenenti alla medesima area semantica. Il concetto che include tutti quelli che si ritengono effetti dell’oggetto del pensiero, ossia del referente del pensiero, è il concetto completo riferibile all’oggetto, o referente, che ha causato gli effetti pratici stessi come sono stati pensati dal soggetto.

In altri termini: occorre prendere in considerazione che effetti può avere in pratica un pensiero relativo a qualcosa cui il pensiero si riferisce, ossia un pensiero relativamente al suo referente; il pensiero relativo a tutti gli effetti pratici prodotti dal referente del pensiero o oggetto in questione sarebbe il pensiero completo relativo al referente, ossia: il pensiero degli effetti prodotti dal referente sarebbe il pensiero completo riferito al referente. In ulteriori altri termini: il pensiero corrispondente al referente è il pensiero relativo a quella che si pensa essere la somma degli effetti del suo referente nella pratica. Si ha qui a che fare con un’affermazione categorica, di valore universale.

Se un pensiero espresso in linguaggio e riferito ad un referente si riconoscesse dagli effetti che si pensa abbia l’oggetto o referente del pensiero, si avrebbe a che fare con un pensiero che, esistendo come tale espresso in linguaggio e dovendo di conseguenza essere già dotato di una sua identità manifestata sul piano linguistico, dovrebbe al contrario esistere come tale senza una identità, la quale identità gli verrebbe data a posteriori in base agli effetti che si pensa l’oggetto del pensiero abbia in pratica. Per chiarire il concetto: uno ha un pensiero, il quale in quanto tale è inevitabilmente espresso in linguaggio e quindi possiede una identità o più identità affini e su piani di referenti concreti o metaforici; al contrario l’identità del pensiero, che è già stata prodotta nell’espressione linguistica di tale pensiero, è data a posteriori da ciò che si pensa siano gli effetti del referente del pensiero, va ribadito: pensiero che si è già avuto, ossia che esiste già e in quanto esistente deve essere già formulato in parole, ossia deve per forza avere una identità nota, una connotazione logica e semantica. Ora, una volta che si abbia un concetto, non si può attribuirgli una identità – o un significato – a posteriori, in quanto senza un’identità – o un significato – non può esistere nessun concetto espresso in linguaggio. Ciò determina una contravvenzione al principio di non-contraddizione. Si tratta di un abito mentale proprio di Peirce diffuso a tutti i livelli. Non vi è qui riferimento ad un errore, sia esso marginale o sostanziale, ma a ciò che fa parte della norma di Peirce nel produrre concetti. Non si tratta di concetti errati o non condivisibili e correggibili in qualche misura, bensì di concetti impossibili perché contravvenenti alle basilari leggi della logica, ciò che connota appunto l’assurdo. Per quanto attiene all’illogicità che affligge il sopra citato concetto, si tratta sempre e soprattutto della difficoltà a proposito del principio di identità e del principio di non contraddizione già rilevata negli estratti precedenti e rilevabile in tutta l’opera perciana.

Emerge di nuovo all’evidenza quanto faticoso sia il produrre concetti chiari da parte di Peirce malgrado i suoi continui sforzi e desideri, caratteristica questa che si rileva in tutti i suoi scritti. Ed emerge di nuovo all’evidenza come non si possano avere i desiderati concetti chiari quando i concetti in questione contravvengano ai principi basilari della logica.

Continuando l’analisi del paragrafo, Peirce inserisce tra il pensiero e gli effetti del suo referente, di ciò cui si riferisce, non il verbo comprendere che dispone di un ambito operativo nell’oggettività per quanto relativa questa possa essere, per quanto specie specifica o specie tipica essa possa essere, bensì inserisce il verbo pensare, il quale implica in linea di massima la piena soggettività delle idee, la credenza soggettiva. Di fatto il verbo pensare si adopera quando si esprimono idee proprie che vengono offerte come personali, senza garantirne la validità oggettiva anche se si può essere convinti che ce l’abbiano. In altri termini, quando si vuole esprimere una propria idea sottolineandone prudentemente la soggettività individuale e non la possibile valenza sul piano oggettivo della comprensione e della conoscenza, si dice in tutte le lingue proprio “io penso che etc.”, ciò che è una variante di “secondo me le cose potrebbero stare così e così” e magari stanno diversamente. Ora malgrado si tratti di una teoria del significato, Peirce non inserisce mai il verbo comprendere, capire, bensì enfatizza il momento soggettivo della produzione delle idee – vedi suo concetto di abduzione –, lasciando la comprensione solo o quasi solo alla divinità. Ora non tutte le credenze sono dello stesso tipo, come sottolineala Mascialino (1999), ve ne sono di indubitabili e di dubitabili, diverse quanto ai processi che portano alla loro formazione ed appunto la credenza dovuta a comprensione non è la medesima della credenza dovuta ad impressioni soggettive prive di riscontro con il reale.

Peirce introduce poi il concetto di abitudine mentale. Secondo Peirce per sviluppare il senso di un pensiero – anche qui in luogo di un più consono comprendere sta il verbo sviluppare – è sufficiente determinare quali abitudini esso produca – determinare è in questo contesto di nuovo un verbo fortemente connotato  di soggettività indicando esso quanto stabilisce o produce il pensatore, non quanto sta nei fatti e che non dipende dalla determinazione del pensatore. Non solo, Peirce dapprima parla di senso di un pensiero, che starebbe nelle abitudini da esso prodotte, poi senza alcuna spiegazione, parla di senso di una cosa, ossia dell’oggetto referente del pensiero, come fosse l’equivalente del senso di un pensiero, come se il referente fosse interscambiabile con il pensiero. Secondo le idee di Peirce il senso del pensiero coincide con le abitudini prodotte dal pensiero e il senso del referente coincide con le abitudini prodotte dal referente, il tutto in un isomorfismo fra pensiero e referente di arcaica e non scientifica credenza ed inoltre in piena confusione di piani logici. Una cosa, ossia un referente o un oggetto del pensiero, può, eventualmente, provocare abitudini, ma queste possono essere diverse a seconda di come esso venga compreso, per cui il loro senso non può essere individuato attraverso l’identificazione delle abitudini in questione pena la caduta nella confusione. Ribadendo: manca sempre il verbo capire che Peirce non prende in considerazione pur essendo esso centrale ad una teoria del significato. In aggiunta: il pensiero di cui parla Peirce è un pensiero soprattutto di ambito logico – la sua massima pragmatica è, stando alle sue dichiarazioni esplicite come già accennato, una massima di ambito logico –, per cui, per come Peirce espone la sua teoria sul pensiero e sul linguaggio, anche la logica diventa frutto della soggettività individuale di ciascuno. Non si tratta in Peirce di una soggettività specie tipica, ma di una soggettività individuale come può esserlo quella che si radica nelle abitudini che uno acquisisce, giuste e sbagliate che siano. Si può scorgere nell’idea della riduzione della logica alle abitudini soggettive l’applicazione della fallacia logica o paralogismo detto del post hoc, ergo propter hoc, dopo ciò, perciò a causa di ciò, ossia riferito alla credenza in una causalità solo perché gli eventi si presentano nella successione di un prima e di un dopo, credenza che può essere dovuta ad una mancata comprensione di come stiano le cose, da cui la classificazione della fallacia logica nei paralogismi, o a intenzione consapevole di portare acqua al proprio mulino, da cui la classificazione della fallacia logica nei sofismi. In ogni caso, di fatto Peirce afferma che un’abitudine è tale se ci può fare agire sempre nello stesso modo in qualsiasi circostanza, questo per quanto improbabile essa possa apparire in un contesto. Come fanno le circostanze ad essere qualsiasi? Quali sono i referenti o qual è il referente di qualsiasi circostanza? Che cosa significa nel contesto il concetto di improbabile? È improbabile l’abitudine o la circostanza?

Infine Peirce crede di spiegare che cosa sia una abitudine, ma in realtà non lo spiega e dice solo che l’abitudine dipende dal quando e dal come essa faccia agire: il quando deriverebbe da una percezione, ossia dal momento in cui si ha una percezione; il come deriverebbe da ciò che si fa per ottenere il risultato, lo scopo dell’azione, ossia dalle operazioni attuate per conseguire il risultato, operazioni che compongono l’abitudine, ossia che vengono a comporre quella che poi sarà un’abitudine. Per riassumere: un’abitudine è l’insieme di operazioni che si compiono per ottenere il risultato voluto – ciò che in realtà non connota solo l’abitudine, ma connota qualsiasi tipo di azione – ed una tale abitudine perciana viene a coincidere con il significato di ogni cosa, di ogni termine linguistico, concetto che sfocia anch’esso nell’assurdo. Ma le abitudini, inoltre e comunque, possono essere frutto di comprensione errata riferitamente per così dire all’oggetto che le causa o con cui sono in ogni caso in relazione, per cui l’abitudine non è modalità sufficiente a comporre il significato delle cose, mancano sempre le operazioni riferite al fenomeno della comprensione delle cose, dei significati delle cose e delle idee e di quant’altro, le verificazioni e le falsificazioni, la logica dell’induzione perfetta e della deduzione, le quali operazioni, se applicate al concetto di abitudine di Peirce, lo falsificano.

4.c Risultati

Se si applicano i concetti di cui alla Citazione N. 4 alla comprensione del significato dei pensieri e dei loro referenti, nonché degli effetti di tutto ciò, non si può capire alcunché né dei pensieri, né dei referenti, né degli effetti dei pensieri e dei referenti, né tanto meno delle abitudini stesse e si può soggettivamente credere illusoriamente nel contempo di aver capito, ciò con la conseguente confusione. La lacuna aperta nella teoria del significato di Peirce dalla mancanza della presenza del verbo comprendere, riservato solo alla divinità, gradualità a parte come concetto giustapposto ed in contraddizione con la precedente affermazione, rende possibile che, a prescindere da quanto testé considerato sulla quasi totale impossibilità di produrre pensieri logici con il metodo perciano, qualsiasi effetto uno soggettivamente pensi sia conseguenza del referente venga a formare il pensiero relativo al referente e quindi identifichi il referente in modo anche del tutto errato, come si è visto a proposito dei corpi duri di cui alla Citazione N. 1. Nel pezzo in analisi dunque Peirce, inserendo il verbo pensare e sinonimi e non comprendere, riservato, come sappiamo dalla sua opera e dalla Citazione N. 3  alla sfera del divino, si ferma alla fase soggettiva del ritenere, del credere, del congetturare. Qualora questa modalità operativa relativa al concetto perciano di abitudine sia applicata all’interpretazione del pensiero espresso in linguaggio, ai testi letterari ad esempio, si ha la confusione generale, la non comprensione, la soggettività individuale fino all’illogicità nell’affrontare il significato delle cose, delle parole, dei concetti, di ogni cosa, l’invenzione dei significati.

CITAZIONE N. 5 (Wikipedia, l’Enciclopedia libera, fonte non nota e testo italiano non presente in lingua inglese su wikipedia)

Molti sono gli studiosi, per non dire quasi tutti, che difendono ad oltranza le teorie o ipotesi di Charles Sanders Peirce. Nell’Enciclopedia libera Wikipedia è uscita recentemente una informazione  sul Pragmatismo che, nel tentativo di salvare il Pragmatismo, non evita purtroppo di cadere in contraddizioni. Il fatto che si affermi che il pragmatismo è la filosofia più importante attualmente negli Stati Uniti, non cambia nulla, anche se gli americani godono tuttora di grande considerazione nel mondo, essendo stati ed essendo ancora in certa misura un Paese culturalmente dominante se non il Paese culturalmente dominante. Leggendo l’articolo di Wikipedia, si ha come l’impressione che il Pragmatismo sia stato fondato da altri e che Peirce sia il fondatore del Pragmaticismo, cosa che allontana da Peirce la sostanza concettuale propria del Pragmatismo, salvo poi a dire qui e là, più sommessamente che il fondatore del Pragmatismo sia Peirce e anche del Pragmaticismo – che abbiamo visto più sopra sorse nel tentativo di rimediare agli errori insiti nel Pragmatismo. Si riporta il pezzo per la breve analisi:

“Pragmaticismo:

Il pragmaticismo è una corrente teorica affine e parzialmente sovrapponibile al pragmatismo, ideata da Charles Sanders Peirce; la principale differenza tra il pragmatismo di James e il pragmaticismo di Peirce è che il primo sostenne che il significato di una parola coincide con le conseguenze pratiche che quella parola suscita, significato e azione tendono perciò, qui, a sovrapporsi. Per il secondo, invece, una teoria del significato che si risolve nell’azione è di fatto un controsenso. Per Peirce le conseguenze pratiche di un’azione, non coincidono con il significato in sè, quanto con una sorta di indice cognitivo, che ci costringe ad aggiornare la mappa mentale dei significati legati a quella parola.” (Wikipedia, l’Enciclopedia libera, nessuna fonte dichiarata)

Sembra alla lettura del pezzo che la coincidenza tra azione e pensiero nel Pragmatismo sia da attribuire a William James, mentre essa si trova esposta in lungo e in largo nelle opere di Charles Sanders Peirce, come è stato anche evidenziato seppure brevemente in questo Capitolo. Peirce, di fronte all’incoerenza delle proprie idee evidenziata in buona fede dalla divulgazione di James, suo amico e sostenitore per altro e di fronte alle critiche dell’epoca verso le contraddizioni insite nella sua teoria del significato, si difese dicendo che non aveva mai detto che il pensiero coincidesse con l’azione, ma, come è stato già mostrato in questo Capitolo, non riuscì ad avere ragione degli errori che affliggevano la sua teoria ed anzi, suo malgrado, le sue spiegazioni confermarono quanto volevano negare. Dal pezzo, per coloro che non siano esperti della materia, sembra inoltre addirittura che Peirce sia il fondatore del Pragmaticismo e non del Pragmatismo che sembra ascritto a James, mentre Peirce è il fondatore di entrambi i movimenti, come viene detto poi anche in Wikipedia forse un po’ troppo in sordina rispetto alla maggiore forza con cui viene affermato che Peirce fu il fondatore del Pragmaticismo e non del Pragmatismo – James fu in realtà solo un divulgatore intelligente del Pragmatismo che capì quello che c’era da capire nelle parole di Peirce. Il pezzo cita poi il “significato in sé” e bisognerebbe dire almeno, ossia spiegare convenientemente,  che cosa si intenda per “significato in sé”, quasi che il significato sia qualcosa che possa essere “in sé”, avulso dall’esperienza. In aggiunta la spiegazione cita “una sorta  di indice cognitivo” e qui la sedicente spiegazione finisce totalmente in pezzi: “una sorta di” non solo non spiega niente e lascia le cose come stanno, bensì mostra l’insufficienza delle prove di quanto si sta affermando: nessuno sa che cosa possa essere una sorta di indice cognitivo, ma si dice che questo qualcosa non conosciuto costringa gli umani addirittura ad aggiornare i significati. Questo per evidenziare una volta di più come non sia possibile fare del Pragmatismo e del Pragmaticismo altro da quello che sono, teorie imprecise sul significato ideate da Charles Sanders Peirce, ed il fatto che vadano per la maggiore in America non cambia il loro stato contraddittorio fino alla confusione concettuale, all’assurdità dei concetti.

Sintesi Conclusiva

Per concludere, si citano alcuni tra i motivi fondamentali che secondo la Mascialino hanno agevolato e agevolano tuttora il successo del Pragmatismo nella cultura umana.

Un motivo è di ordine economico (Mascialino 2001): dando a tutti l’illusione che i testi letterari si possano interpretare a soggettivo piacimento, come consegue all’accettazione e all’applicazione della massima pragmatica di Peirce, vi è stato il boom delle vendite di libri letterari, poesie e romanzi, racconti.

Un ulteriore motivo riguarda il tempo da dedicare alle interpretazioni (Mascialino 2001 e segg.): inventare soggettivamente un’interpretazione richiede meno tempo e meno lavoro di quanto ne richieda l’applicazione di un metodo scientifico finalizzato ad identificare il significato generale delle cose ed in particolare linguistico.

Un terzo motivo è quello relativo alla possibilità di avere per così dire legittimamente delle interpretazioni ad usum Delphini (Mascialino 2009, 2010, 2011): dove domina la soggettività, non entra la ragione a decidere quanto è corretto e quanto non lo è, quanto è giusto e quanto è ingiusto. In tal modo ognuno può contraffare il pensiero degli altri a proprio uso e consumo, a proprio vantaggio, ciò di cui abbiamo un esempio storico nella distorsione attuata dalla Chiesa Romana relativamente ai testi degli antichi filosofi e poeti, interpretati a sostegno dell’ideologia religiosa e non in base al significato che detti testi potevano avere, da cui la ribellione dell’Umanesimo, il grande movimento di origine italiana per il recupero della verità dei testi contraffatti dalle interpretazioni ecclesiastiche, movimento che, se anche fu presto spento in Italia dalla Controriforma, fu alla base della Riforma del monaco agostiniano Martin Luther che su tale ribellione alle contraffazioni dei testi originali oltre che sulla vendita delle indulgenze legittimò il suo scisma dalla Chiesa Romana. Dunque il pragmatismo risulta essere strumento utile alle varie caste di potere sia negli assolutismi che nelle democrazie deboli.

L’analisi condotta in questo Capitolo ha messo in luce come la preminenza data alla soggettività individuale di ciascuno nell’assegnazione di significato a qualsiasi evento espresso linguisticamente non può dare che interpretazioni soggettive, non scientifiche, non affidabili, spesso errate.

Bibliografia e Sitografia relative al Capitolo

Tavole


[1]  “403. Illustriamo (…) la regola [pragmatica] con qualche esempio e, per cominciare con il più semplice possibile, chiediamoci che cosa vogliamo significare chiamando una cosa dura. Evidentemente che non sarà scalfita da molte altre sostanze. L’intero concetto concernente questa qualità come qualsiasi altra sta nei suoi effetti così come sono concepiti. Non c’è assolutamente nessuna differenza tra una cosa dura ed una non dura finché esse non siano portate alla prova. Supponete allora che un diamante potesse cristallizzarsi nel mezzo di un cuscino di soffice cotone e che dovesse restare lì finché non fosse alla fine completamente distrutto dal fuoco. Sarebbe sbagliato nel dire che quel diamante non era duro ed era soffice? Questa sembra una domanda sciocca e sarebbe tale, infatti, tranne che nel regno della logica (…) Tali questioni sono spesso della più grande utilità in quanto servono a portare i principi logici in rilievo più netto di quanto possa mai fare qualsiasi discussione reale (…) Noi possiamo nel caso presente modificare la nostra domanda a chiedere che cosa ci vieta di dire che tutti i corpi duri rimangono perfettamente soffici fino a che non siano toccati, quando la loro durezza aumenta con la pressione fino a che non siano scalfiti. La riflessione mostrerà che la risposta è questa: non ci sarebbe alcuna falsità in tali modalità del linguaggio. Essi implicherebbero una modificazione del nostro attuale uso del linguaggio relativamente alle parole duro e soffice, ma non del loro significato.”

[2]   “18 (…) Il Pragmatismo è il principio che ogni giudizio teoretico esprimibile in una proposizione al modo indicativo è una forma confusa di pensiero, il cui unico significato, se ne ha uno [!], sta nella sua finalità di stimolare una corrispondente massima pratica esprimibile come una proposizione condizionale che ha la sua apodosi nel modo imperativo.”

[3]  “402 (nota 2) Prima  di intraprendere l’applicazione di questa regola [pragmatica], riflettiamo un po’ su che cosa essa implichi. Si è detto che sia un principio scettico e materialista. Ma esso è solo un’applicazione dell’unico principio di logica che fu raccomandato da Gesù: ‘Voi li riconoscerete dai loro frutti’, ed è collegato molto intimamente alle idee del vangelo. Noi certamente dobbiamo guardarci dal capire questa regola in un senso troppo individualistico (…) I loro frutti sono perciò collettivi; sono il conseguimento dell’intero popolo. Che cos’è ciò cui si prepara dunque l’intero popolo, che cos’è questa civiltà che è il prodotto della storia, ma non è mai completata? Noi non ci aspettiamo di ottenere un concetto completo di ciò; noi possiamo vedere che è un processo graduale (…) Noi possiamo dire che è un processo in cui l’uomo, con tutta la sua miserabile piccolezza diviene gradualmente sempre più imbevuto dello Spirito di Dio, nel quale Natura e Storia maturano. Quanto allo scopo ultimo del pensiero, che deve essere lo scopo di ogni cosa, esso è al di là della comprensione umana (…) È dall’infinita replicazione di autocontrollo su autocontrollo che il vir viene generato, e dall’azione, attraverso il pensiero, egli fa crescere in sé un ideale estetico, non per il vantaggio della propria povera zucca soltanto, ma per la parte che Dio gli permette di avere nell’opera della creazione.”

[4]  “18 (…) Ma la Massima del Pragmatismo, come io l’ho formulata originalmente, Revue Philosophique VII, è come segue: ‘Considerare quali sono gli effetti pratici che noi pensiamo poter essere prodotti dall’oggetto della nostra concezione. La concezione di tutti questi effetti è la concezione completa dell’oggetto. [48.]

Per sviluppare il senso di un pensiero, bisogna dunque semplicemente determinare quali abitudini esso produca, poiché il senso di una cosa consiste semplicemente nelle abitudini che essa implica. Il carattere di un’abitudine dipende dal modo in cui essa ci può fare agire non soltanto in quella tale circostanza probabile, ma in ogni circostanza possibile, per quanto improbabile essa possa essere. Ciò che è una abitudine dipende da questi due punti: quando e come essa fa agire. Per il primo punto: quando?, del tutto stimolante all’azione, deriva da una percezione; per il secondo punto: come?, lo scopo di ogni azione è di condurre al risultato sensibile. Noi conseguiamo così il tangibile e il pratico come base di ogni differenza di pensiero, per quanto sottile essa possa essere. [47.]’ ”


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