Analisi e interpretazione N. 1
FRANZ KAFKA, La passeggiata improvvisa (Der plötzliche Spaziergang)
Si tratta del racconto che contiene la prima sconvolgente metamorfosi prodotta dalla fantasia di Franz Kafka qualche anno in anticipo sulla ideazione della seconda grande metamorfosi in scarafaggio/scarabeo stercoraro nel racconto Die Verwandlung, La metamorfosi. Verrà qui mostrato in sintesi il processo di identificazione della metamorfosi presente nel passo sotto citato del raccontoDer plötzliche Spaziergang con comparazione dell’identificazione con le interpretazioni, anche le più recenti finora prodotte, nelle quali non è stata colta la presenza della speciale metamorfosi.
(Der plötzliche Spaziergang. Frankfurt am Main: Fischer Verlag: 1986, 26)
“, während man selbst, ganz fest, schwarz vor Umrissenheit, hinten die Schenkel schlagend, sich zu seiner wahren Gestalt erhebt.”
Trad. di Rita Mascialino (1996, 2008, 2010)
“(…), mentre da sé, del tutto solidi, neri di contornità, le cosce dietro scalcianti, ci si erge verso la propria vera forma.”
Le traduzioni correnti danno un’altra interpretazione, del tutto diversa, la quale non coglie il significato linguistico che sta nel testo originale. Diamo qui un solo esempio emblematico di tutte le altre traduzioni che offrono variazioni sinonimiche della stessa interpretazione:
“(…), mentre noi, solidissimi, neri per l’assoluta nitidezza dei nostri contorni,battendo con le mani dietro sulle cosce, ci si eleva ad assumere la nostra vera figura.” (Baioni/Lavagetto 1983)
Dunque, le interpretazioni correnti in ambito nazionale ed internazionale danno del sintagma citato una versione con varianti sinonimiche di quanto sopra, le quali sempre contengono l’interpretazione del sintagma sopra evidenziato secondo il livello parafrastico che considera die Schenkel, le cosce, come un complemento oggetto del verbo schlagen nel significato transitivo di battere, dare schiaffi e simili: il protagonista, nelle correnti interpretazioni, si batte le cosce con le mani da dietro per così dire, essendo l’avverbio hinten interpretato come parte posteriore delle cosce che verrebbe appunto schiaffeggiata o battuta.
Con questa immagine del battersi le cosce da dietro che è stata definita da Rita Mascialino nel suo volume specifico (2008) e nel XXVII Congresso ESSCS, Università di Groningen, The Netherlands, Londra 5-7 luglio 2010, sinteticamente “the slapping-image”, “l’immagine del battere”, abbiamo un’azione grottesca e per altro assurda in quanto incapace di produrre il sollevamento dalla posizione prona dalla quale il protagonista si vorrebbe togliere ergendosi nella sua vera immagine. Si tratta di un battimento, alla verifica, del tutto inadatto anche solo a stimolare e a facilitare l’assunzione della stazione eretta a partire da quella prona – per i particolari vedi volume di Rita Mascialino (2011). Il raffinatissimo protagonista kafkiano del racconto, secondo tali interpretazioni che non trovano nessun riscontro nel testo originale di Kafka, spererebbe di poter raggiungere la stazione eretta, la sua vera sagoma, la sua più vera identità, attraverso un’azione sciocca e addirittura connotata di qualche tocco non lieve di volgarità – la Spazialità Dinamica intrinseca al battersi le cosce sul retro non è azione nobile. Si tratta di un’azione per altro impossibile che comunque nessuno al mondo farebbe e nessuno al mondo ha mai fatto per sollevarsi dalla posizione prona tranne che il protagonista di tale racconto secondo le interpretazioni correnti prodotte finora con il metodo del pragmatismo che incentiva l’invenzione soggettiva e non scientificamente fondata del significato del linguaggio. Potrebbe anche essere che il protagonista proiezione di Kafka si sia messo a compiere un’azione insensata che egli abbia ritenuto adatta a divenire grande, certo, anche Kafka potrebbe avere avuto qualche debolezza in ambito logico, ma prima di ascrivere ad un cervello come quello di Franz Kafka una debolezza del genere ed un’immagine tanto assurda e penosa occorre aver verificato che la debolezza e l’assurdità stiano realmente nei suoi testi.
Secondo “the black-horse-image” o “l’immagine del cavallo nero”, come è stato definito da Rita Mascialino nel medesimo volume (2008) e XXVII Congresso ESSCS, il sintagma relativo alla metamorfosi in questione, non abbiamo un protagonista che si batte assurdamente quanto inutilmente e volgarmente nonché per altro impossibilmente le cosce dal retro nella credenza unica al mondo di potersi con ciò sollevare dall’implicita posizione prona, ossia un protagonista che ascrive a tale azione poco nobile possibilità taumaturgiche così importanti e tali da farlo sorgere dalla posizione prona e raggiungere addirittura la propria vera statura ein fatto di personalità. Abbiamo invece un protagonista che si percepisce come il più simbolico cavallo nero che sorge dal basso, dal suolo e scalcia con le zampe posteriori per alzarsi in tutta la sua magnificenza, azione per nulla assurda e concretamente comune nei cavalli che si trovano nella situazione prona ed azione nel contempo simbolo per la creatività inconscia che proviene e prorompe dal profondo, dal profondo della personalità di Franz Kafka in questo caso.
L’identificazione della forma grammaticale relativa alla “black-horse-image” non è dunque quella di un participio presente che regge un complemento oggetto, schlagend transitivo + complemento oggetto die Schenkel, forma grammaticale che sta alla base delle interpretazioni correnti impostate sulla “slapping-image” e che sarebbe per altro forma piuttosto scadente nella lingua tedesca che non conosce il gerundio e raramente usa il participio presente nella forma di verbo capace di reggere complementi, bensì è quella di un cosiddetto nominativo assoluto. In esso le cosce non sono il complemento oggetto di schlagend, come interpretato finora sul mercato culturale internazionale, ma il soggetto, nominativo, di schlagend nel suo significato intransitivo, nel significato di “cosce che scalciano (scalcianti) dietro”, “con le cosce posteriori scalcianti”, in un sintagma appunto assoluto. CVome faccia ad essere assoluto e non collegato direttamente al soggetto della frase, il protagonista, è quaklcosa di straordianrio che convalida non solo l’avvenuta metamorfosi in cavallo, ma ne esprime la modalitaà: nel mentre aviene la metamorfosi a partire dal suolo dove vi è già il cavallo, le cosce scalciano senza essere ancora collegate al soggetto della proposizione he è ancora un uomo che sta appunto trasformandosi completamente in cavallo. Le cosce dunque non si riferiscono ancora al soggetto della frase, ossia al protagonista che è anciora uomo come appunto il nominativo assoluto esprime. Se si fosse trattatato di un accusativo assoluto – mai si sarebbe potuto trattare del gerundio del verbo transitivo – , si sarebbe comunque verificata la metamorfosi, ma sarebbe andata perduta la gradualità particolare, per così dire a pezzi della realizzazione. Di fatto questa metamorfosi viene prodotta all’interno del protagonista come un suo parto e inizia molto inavvertitamente già quando il soggetto proiezione di Kafka inizia a muoversi con più energia per i vicoli, andatura per la quale Kafka ha scelto il verbo laufen adatto al correre delle persone e all’andatura degli animali, specificamente dei cavalli. La maggiore energia allude all’energia animale, istintuale, più potente perché ancora non frenata dalla razionalità. Dopo questa avvisaglia del cambiamento che sorprende il protagonista ancora uomo nell’aspetto esteriore si ha la trasformazione in cavallo vero e proprio a partire dalle cosce posteriori che scalciano per conto loro come per alzarsi dalla postura prona restando il corpo ancora per metà uomo, staccato quindi dalle cosce che scalciano sutonomamente per così dire e sulle quali si sviluppa quindi del tutto l’animale sovrapponendosi all’uomo che scompare nella forma cavallina – il soggetto indefinito man scelto da Kafka è adatto nel contesto a sfumare il soggetto in qualcosa di indefinito, che sta per uomo–man è la forma in debolita di Mann, uomo -, ma che nel significato indefinito può stare anche per altro e comunque non indica direttamente il protagonista con i suoi tratti definiti che vengono coem cancellati dalla presenza di tale pronome. Dunque proprio il nominativo assoluto evidenzia, in aggiunta alla metamorfosi, la sua speciale e anche spaventosa gradualità che vede un essere fatto di aprti cavalline e umane che poi svaniscono sotto la forma equina. È grazie a questa azione che il protagonista trasformato in cavallo simbolo dell’arte più profonda e nascente si può ergere e si erge magnificamente dal suolo per divenrie un possente animale, quasi provenisse dalle viscere della terra, nel senso più simbolico: dalle profondità della psiche inconscia alle quali da sempre è stato ascritto dagli umani il colore nero come simbolo corrispondente dell’inconscio. Il protagonista quindi non rimane persona e tanto meno persona che si batte le cosce con le mani in un’azione grottesca e controproducente, insensata. Il protagonista, quando si alza dalla posizione metaforicamente prona che ha nella sua casa, si erge dunque quale cavallo nero scalciante in piena vitalità e bellezza, con tutta la sua intrinseca simbologia consona al contesto, un cavallo ed un protagonista che nulla hanno più a che spartire con il mondo delle piccole e strette convenzioni borghesi.
Questa straordinaria metamorfosi è improvvisa e quasi impercettibile – e di fatto non è stata percepita altro che dall’autrice -, così da divenire evento misterioso ed anche sinistro: è lo scalciare delle zampe posteriori che identifica la già avvenuta trasformazione del protagonista in un quadrupede ed è l’identificazione o comprensione del nominativo assoluto, forma scelta da Kafka secondo la spazialità del significato del testo, che mette il lettore di fronte ad una metamorfosi quanto mai mimetizzata ed improvvisa, sorprendente ed anche in tal senso appunto spaventosa. Improvvisa come lo è appunto la passeggiata che risulta essere tale per un duplice motivo: e per la decisione presa di uscire nella notte quando nessuno in casa ormai se lo sarebbe aspettato e per la trasformazione improvvisa del protagonista che si trova a galoppare libero nella notte in qualità non più di figlio borghese di una famiglia borghese, ma di simbolico cavallo nero.
Ricapitolando: in questa metamorfosi il protagonista, seminascosto nel racconto dietro il soggetto indefinito man, adatto a sfumare ed anche a cancellare i tratti fisici individuali, quindi il primo piano dei tratti connotativi dell’identità del soggetto, si presenta improvvisamente e quasi inavvertitamente trasformato in un animale a quattro zampe, specificamente un potente e sensuale quanto sinistro cavallo, nero come la notte che lo attornia dalla quale si distingue a malapena. Tale cavallo sembra sorgere nell’oscurità dal profondo oscuro della terra, come dall’inconscio dell’immaginazione sorge la fantasia creativa artistica, letteraria, dell’autore. Che la metamorfosi sia avvenuta nel racconto lo testimonia anche, per quanto indirettamente, la presenza del sostantivo Veränderung, trasformazione o metamorfosi riferito alla capacità di mutare l’aspetto da parte del protagonista, e del verbo laufen, correre, riferito al protagonista che si muove nei vicoli, ma che esprime in tedesco anche il camminare o muoversi di alcuni animali, specificamente dei cavalli, e che indica come il protagonista, ancora umano, si muova nei vicoli sentendo dentro di sé la capacità di sopportare qualsiasi trasformazione e i sintomi impercettibili della già iniziata metamorfosi impliciti nell’uso del verbo laufen, la quale metamorfosi si materializza poi nell’azione del protagonista quando si erge dal suolo ormai del tutto quale cavallo nero.
Il protagonista dunque, trasformato sorprendentemente quanto improvvisamente in un tale cavallo simbolico ed anche sinistro come spesso sinistro è il contatto della mente razionale con l’inconscio più profondo, si muove vedendo nella notte, nel buio come potrebbe muoversi al buio un cieco. Viene da associare quanto espresso da Leonardo da Vinci sulla poesia, arte che si addiceva bene secondo lui ai ciechi. Certo è caustica l’ironia leonardesca sulla poesia, “scienza che sommamente opera negli orbi”, afferma egli nel Trattato della Pittura (9), una scienza ed un’arte che per altro i contemporanei gli rimproveravano di non possedere essendo egli “omo sanza lettere”, tuttavia Kafka dà indirettamente una verità a distanza di secoli a quanto detto da Leonardo ben al di là di ogni possibile ironia leonardesca: il poeta kafkiano è davvero colui che riesce a vedere nella notte dove tutto è celato dall’oscurità, colui che ha occhi per il buio, occhi che non sono fatti per la luce, come gli occhi degli orbi appunto, ma che per essere orbi per le cose pratiche vedono tanto di più, tanto oltre esse, soprattutto nell’interno della psiche, delle sue pieghe più oscure.
E può essere cosa buona che questo particolare protagonista non resti da solo con il suo mondo di immagini, con la sua fantasia, ma si rechi da un amico per vedere come stia, come ci dice il finale del racconto – per particolari su uno dei tipici gioielli di Kafka relativi al significato, la scelta magistrale di Kafka dei polisemici verbi aufsuchen e nachsehen in questo specifico contesto, si veda in dettaglio il volume di Rita Mascialino.
Perché un tale cavallo è bene che vada da un amico? Perché l’arte, che esso simboleggia e che proviene dal più segreto inconscio, può riuscire a sbloccare circuiti inconsci non solo in chi la produce, ma anche in chi ne usufruisce ed è perciò benefica per l’equilibrio e per la crescita della personalità umana come poche altre strategie terapeutiche lo possono essere. Per questo va condivisa con l’umanità, ovviamente con una umanità amica, senza dare le perle ai porci per così dire, ossia con una umanità capace di accoglierla senza spaventarsi troppo, senza chiudere le porte per paura, capace dunque di comprenderla almeno a qualche livello se non in tutte le sue profondità e di riceverne i benefici corrispondenti. Il cavallo nero si può recare quindi da un amico, da una persona che comprenda in qualche misura almeno i significati di cui esso è magnifico e sovrano portatore, un amico che non si terrorizzi di fronte ad una visita notturna tanto straordinaria ed inquietante, un amico che non abbia timore di approfondire il senso meno superficiale della vita, che non abbia timore di venire in contatto con le ombre più oscure prodotte dalla fantasia nella sua nascente forma inconscia, immaginifica. Affondando la lama dell’analisi, si scopre che questa persona si trova nel libro prodotto dall’Autore, da Kafka, è Kafka stesso, ma appunto, per i particolari esplicativi si veda il saggio citato.
Non possiamo qui dare tutti i particolari contenuti nel volume di Rita Mascialino (2008) e che sono non solo numerosi e rilevanti per la comprensione del significato di questo passaggio, ma anche per la comprensione dell’intero racconto, volume al quale rimandiamo, come pure rimandiamo per una breve sintesi alla Sezione Congressi, articoli e conferenze in questo Sito.