Rassegna e Recensione II Mostra d’Arte Premio 2014

 II MOSTRA D’ARTE

DEL PREMIO FRANZ KAFKA ITALIA ®

 

Vernice: venerdì 24 ottobre 2014 h 18.00 – durata della Mostra: un mese

Spazi espositivi:

Kulturni Center Lojze Bratuž, Viale XX Settembre n. 85, Gorizia

 

Brindisi finale Pasticceria Centrale Visintin, Gorizia, Via Giuseppe Garibaldi n. 4.

Servizio Fotografico Pier Luigi Bumbaca, Gorizia, Via delle Monache n. 11.

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PRESENTAZIONE E RECENSIONE

di Rita Mascialino

 

N.B. Tutti i testi della Recensione si possono ripubblicare per intero o a passi tra virgolette senza modificazioni. Per diritti di copyright è fatto obbligo di citare sempre la fonte per esteso:

Rita Mascialino, Recensione II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it.

Anche le fotografie si possono ripubblicare citando per diritti di copyright sempre la fonte per esteso:

Rita Mascialino, Recensione II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Servizio Fotografico di Pier Luigi Bumbaca

Mostra Premio Franz Kafka venerdi 24 ottobre 2014 0169 (2)

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Negli eleganti locali del Kulturni Center Lojze Bratuž della minoranza slovena in Gorizia ristrutturato

dall’architetto e pittore sloveno David Faganel ha avuto luogo venerdì 24 ottobre 2014 h 18.00 la vernice della II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ®,  Presentazione e Recensione di Rita Mascialino.

La motivazione a monte della Mostra d’Arte è duplice: da un lato essa è intesa come omaggio a Franz Kafka quale grande artista nell’ambito del figurativo per quanto attiene ai pur non numerosi, disegni pervenutici, una quarantina circa; dall’altro essa è intesa come omaggio agli Artisti che partecipano al Premio Franz Kafka Italia ® e festeggiano a loro volta con le loro opere Franz Kafka quale  scrittore tra i più grandi di tutti i tempi in tutto il mondo nonché straordinario disegnatore.

Alla Mostra partecipano Artisti di comprovato valore e dagli stili più vari, dall’impressionismo all’espressionismo, all’arte realistica, simbolica, astratta, il tutto in varie tecniche, tra cui: miste, ad olio, a tempera, in acrilico, a pastello, a matite colorate, ad acquarello; presenti anche disegno grafico d’arte con mouse, fotografia d’arte con o senza photoshop, vignettature e lunghe esposizioni; inoltre sculture in ceramica patinata, sculture con tecnica di assemblaggio di legni speciali, metalli, argille, ossidi e smalti.

Per la II Mostra d’Arte del Premio 2014 sono esposte cinquantadue opere di venti Artisti di varia provenienza, in ordine alfabetico:

1.Roberto Barbina – scultore, pittore: due opere

2.Mauro Cesarini – pittore: due opere

3.Agnese Dario pittrice: tre opere

4.Anna Degenhardt – incisore, pittrice: due opere

5.Margot Di Lorenzo – fotografa d’arte, disegnatrice a carboncino, china, matita nera, bacchette e caffè: due opere

6.Annamaria Fanzutto – scultrice, acquarellista, pittrice: due opere

7.Oscar Francescutto – pittore: tre opere

8.Marcello Franchin fotografo d’arte: tre opere

9.Nico Gaddi – incisore, scultore, pittore: tre opere

10.Franco Manzoni – pittore: due opere

11.Gianni Maran – pittore: due opere

12.Marilena Mesaglio – disegnatrice grafica d’arte: tre opere

13.Alberto Quoco – fotografo d’arte: tre opere

14.Sergio Romano – pittore: tre opere

15.Daniela Savini – pittrice: tre opere

16.Gabriele Simeoni – pittore: quattro opere

17.Caterina Trevisan – pittrice: tre opere

18.Isabelle Turrini – pittrice: due opere

19.Adriano Velussi – pittore: un trittico

20.Ernesto Volpi – pittore: due opere

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RECENSIONE della II Mostra d’Arte del Premio

di Rita Mascialino

La Recensione verte, oltre che sulle tecniche espressive utilizzate per realizzare l’opera d’arte e sull’appartenenza degli stili ai vari movimenti artistici, sul significato dell’arte espresso nelle opere degli Artisti, il tutto analizzato ed interpretato a livello di superficie e profondo secondo la Spazialità Dinamica (Mascialino 1996 e segg.) identificabile e verificabile oggettivamente nelle opere stesse. 

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Premio Kafka Mostra 011

Roberto Barbina: Ovale Bianco

Roberto Barbina: Ovale Imploso

Rita Mascialino, Roberto Barbina: Ovale Bianco, Ovale Imploso. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

 

Premio Kafka Mostra 014

Roberto Barbina espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia due sculture astratte in ceramica intitolate Ovale Bianco e Ovale Imploso, create con la speciale tecnica denominata raku di antica origine coreano-giapponese, variamente innovata in tempi recenti. Tale tecnica consiste in una prima cottura di argille sabbiose, particolarmente robuste e resistenti alle alte temperature, e nell’estrazione e raffreddamento rapido all’aria dell’oggetto cotto così che la ceramica sia chiara. Quindi si appongono gli ossidi o gli smalti e l’oggetto viene infornato per una seconda cottura – oggetto biscottato, cotto due volte – a partire da una temperatura di settecentocinquanta fino a poco meno di mille gradi circa per la fusione degli stessi. A fusione avvenuta, in base all’effetto voluto dall’artista, l’oggetto viene estratto ancora incandescente e, prima di essere raffreddato, posto in una buca con carte, segatura e trucioli che incendiandosi al calore dell’oggetto producono fumo. A questo punto si copre tutto con pesante coperchio di metallo, così che si produca una riduzione o  forte assenza di ossigeno e si attende che si formino le più varie colorazioni più o meno scure della ceramica con riflessi secondo gli ossidi di metallo apposti precedentemente, quindi si estrae l’oggetto e si immerge in acqua fredda per fermare i processi della colorazione al punto desiderato e per togliere i residui. Vediamo quale visione del mondo esprimono a livello semantico-emozionale le due sculture di Roberto Barbina realizzate in tecnica raku. Esse sono accomunate da un medesimo tema, un ovale diversamente rappresentato, e mostrano una diversa risonanza semantico-emozionale sul piano estetico. Osservando l’Ovale Bianco l’associazione spaziale più ovvia ed elementare nel mondo umano è quella appunto dell’uovo, un simbolo principe della vita. Nel caso tuttavia si tratta di un uovo che mostra all’apparenza spaccature del guscio in molte parti, non più edibile, né adatto a fare sbocciare la vita, bensì simbolo di perdita di vita, di precarietà dell’esistenza già alla sua origine, prima ancora di svilupparsi pienamente, come un frutto già marcio, avvelenato sin dall’inizio del suo ciclo vitale: il bianco rosato del possibile emiguscio mostra segni neri realizzati con smalto i quali inficiano l’integrità della struttura evocando la presenza di spazi vuoti, di crepe. Tale ovale bianco mostra qui e là sfumate cromie sul verde azzurro tenue, la superficie risulta chiazzata di rosato quasi invisibile, di varie tonalità di grigi chiari fino al beige chiarissimo, con cavillature ai bordi esterni sul grigio-azzurrato chiarissimo, anch’esse effetto dello shock termico e nel contempo segno di spaccature dell’ovale. L’ovale è anche simbolo immediato di volti, ossia l’immaginazione umana identifica immediatamente nell’ovale appunto la possibile presenza di un volto come forma comune al vissuto umano. Emerge all’osservazione dei dettagli interni del possibile volto una fantasmagoria di minuti volti contraffatti e mascherati frutto per così dire casuale della cottura del materiale nonché parti di volti sparsi qui e là in posizione non frontale, mentre nei due versi longitudinali, appaiono due ulteriori volti stilizzati in cui si identificano possibili espressioni di stati d’animo. Infine, nel centro dell’ovale visto frontalmente nel suo insieme come volto si staglia una forma che termina a triangolo imperfetto smaltata in nero e che aggiunge riconoscibilità nel profondo ad un volto ormai consumato dal tempo, non più vivo. Certo la maggioranza delle forme non sono state prodotte con interventi ad hoc dal Maestro, tuttavia se Roberto Barbina non le avesse gradite dal punto di vista del suo gusto estetico – o semantico al  livello più inconscio –  non le avrebbe accettate, quindi le avrebbe modificate per il possibile, anche distrutte e rifatte, ma così non è stato, ribadendo: la spazialità delle forme incise nel più splendido uomo simbolico a livello appunto inconscio per quello che rappresenta è stata pertanto esteticamente, soprattutto inconsciamente, accettata dall’Autore – sappiamo che l’inconscio umano recepisce innumerevoli segni significativi che non sono recepibili consapevolmente, ma che consciamente possono essere decifrati qualora possibile per così dire metaforicamente la discesa nel profondo o l’affiorare dal profondo. Concludendo la breve analisi dell’ovale come volto e gioco di volti: un’identità umana rappresentata come cangiante e plurisfaccettata, diversa e mutante, non stabile, in aggiunta posta all’interno di un volto ormai decomposto, a sua volta cadente in pezzi, un’identità frammentata espressa in una struttura disfatta, non rassicurante. Quale risultato dell’interpretazione del significato di tale Ovale Bianco sul piano estetico, l’unione della forma evocante l’uovo come origine di vita, come tratti di volti e volti contraffatti e deturpati, con forme evocanti qui e là lettere o parti di lettere della scrittura, contribuisce a tratteggiare una visione della vita in modo coerente, al cui centro sta l’identità umana. Certo si tratta di una identità frammentata, instabile, destinata alla fine già dallo schiudersi della vita, come se le  varie identità stessero tutte sotto il dominio del volto principale alluso dall’ovale, un volto come di un teschio ormai corroso, a suggerire come la vita già al suo inizio sia intrecciata indissolubilmente alla propria fine, il tutto rappresentato sul piano estetico e intuitivo, conscio ed inconscio dell’arte di Roberto Barbina.

L ‘Ovale Imploso di Roberto Barbina riprende i temi accennati nell’Ovale Bianco come uovo e volto umano, in particolare come maschera, solo li struttura diversamente. Qui il colore è ottenuto in riduzione, opposto al bianco, è cupo, ricco comunque di sfumature verdi, rossastre come macchie di sangue, brune, come un volto chiazzato dalla corrosione – il verde stesso è il colore della decomposizione della carne per eccellenza, è il colore del volto di Osiride, dio della vegetazione, ma anche della morte e dell’oltretomba. Gli spazi vuoti su sfondo bianco che si vedono tra i pezzi che compongono questo ovale contribuiscono a formare la suggestione del volto espressivo tipico della maschera. La frantumazione dell’identità risulta dunque essere il Leitmotiv anche di questo dittico assieme alla contraffazione del volto, sia per la decomposizione che per il mascheramento. In altri termini: l’identità umana che deriva da questa molto suggestiva effigie di Roberto Barbina appare contraffatta e già minata all’origine anch’essa. Questo ovale in pezzi staccati esprime assieme allo sfondo che si intravede l’implosione come dal titolo, ossia la spaccatura dell’ovale che, per come l’artista l’ha raffigurata e per come anche il titolo esplicita, avviene spazialmente dall’interno, da un’energia che appunto implode da dentro, come una forza negativa che non proviene dall’esterno per un esplosione, ma urge inesorabile dall’interno e rompe la struttura dell’ovale facendolo in pezzi in un’unione indissolubile di vita e morte, come la morte facesse parte integrante della vita.

                                                                                                                               Rita Mascialino

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Premio Kafka Mostra 141

Premio Kafka Mostra 147

Mauro Cesarini: I grilli impazziti

Mauro Cesarini: Principio

Rita Mascialino, Mauro Cesarini: I grilli impazziti, Principio. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

Mauro Cesarini espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ®  presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia due tele in acrilico a sfondo cromatico non puro, comunque scurissimo seppure in diversa mescolanza di tinte. Nel dipinto intitolato I grilli impazziti lo sfondo è realizzato nella tonalità del nero sfumato con grigio e tocco di azzurrino appena accennato, così da togliere al nero la sua purezza e renderlo meno brillante. Il soggetto del quadro è dato da due umani che si baciano sulla bocca e si abbracciano con trasporto. Le figure sono stilizzate, è raffigurata la struttura spaziale dell’azione riferita al solo busto, così che vengano messi in primo piano il bacio e l’abbraccio, mentre il resto dei corpi non è raffigurato e si perde nel nero dello sfondo. Vediamo dapprima il perché dello sfondo così scuro, come per altro accade spesso nelle creazioni di questo pittore. Per come appaiono ritratte le figure, non solo è come se le figure emergessero dall’ombra, ma risulta anche e soprattutto come se fossero fatte esse stesse di ombra, come se fossero una configurazione dell’oscuro con particolare chiaroscuro: il buio come metafora dell’origine dell’uomo secondo i miti e le religioni in cui la creazione avviene dal nulla e dalle tenebre; il buio come luogo in cui l’uomo terminerà la sua esistenza, come metafora dell’abbandono del regno della luce in cui si è svolta la vita in Terra; un buio infine che è metafora per eccellenza dell’atto creativo umano, dell’artista che crea anch’esso attingendo dal nero della sua immaginazione e simbologia inconscia  le immagini per come le riproduce sulla tela. Procedendo nell’analisi della spazialità del significato, i volti dei due protagonisti, come accennato, sono stilizzati, non sono dipinti capelli ed altri particolari, gli occhi sono appena segnati e sono chiusi, mancano ulteriori dettagli identitari così che le due figure possono avere valenza per qualsiasi umano, come fossero  emblema della situazione in cui si trova l’umanità. Inoltre, la mancanza di identità pone l’identità stessa come difficile ad individuarsi e difficile a conservarsi e per altro in figure fatte d’ombra e di oscurità l’identità è umbratile essa stessa, inconsistente. I due volti appaiono come fossero due teschi secondo anche le pennellate di luce biancastra che ricordano da vicino il colore delle ossa craniche. Ciò suggerisce l’onnipresenza della morte nel destino degli umani già espresso nella struttura dell’ombra che caratterizza tali figure, una presenza che sbuca fuori inconsciamente da ogni parte nella vita umana per quanto si tenti di rimuoverla, di non pensarci troppo. Le linee delle braccia come le palpebre chiuse sugli occhi sono azzurre, un colore che non rientra nelle cromie delle palpebre e delle braccia nude e che è dunque anch’esso particolarmente simbolico: in tutto il buio di cui si nutrono gli umani raffigurati da Cesarini in questa tela il colore dei cieli diurni per delimitare le due figure diviene metafora dello spirito, di quello spirito che la vita porta nell’Universo, nella sua notte. Passiamo da ultimo al titolo: I grilli impazziti sono le fantasie irrealizzabili degli umani simboleggiate dai brevissimi tratti chiari sparsi come grilli appunto che saltino fuori dalle teste dei due protagonisti di questo dipinto quali scintille, luci relative alle loro idee, ai loro sentimenti, alle loro emozioni. In altri termini: folli come i grilli che si possono avere per la testa in quanto le speranze di grandezza e d’amore rivelano nello speciale contesto certamente non lieto presentato da questa tela molto intensa dal punto di vista semantico-emozionale di essere fantasie a livello di desideri non concretizzabili, che hanno la breve vita di un grillo salterino, di un flash di follia appunto.

Nel dipinto intitolato Principio il nero con sfumatura sul bruno è ancora più intenso di quanto esso sia nella precedente opera. Nulla vi è di azzurro, ma appare qualche segno breve e sottile rosso sangue portatore del colore della vita non spirituale, ma materiale, in carne ed ossa per così dire come supporto di quella spirituale. Inoltre sono visibili tratti appena segnati di bianco sfumato relativi soprattutto alle mani di una figura a mezzo busto femminile, bruna nel bruno, le cui labbra carnose nella sagoma bruna si riferiscono palesemente ad una donna di colore, dato il titolo e l’oscurità dello sfondo: alla preistorica Eva Nera da cui Homo sapiens deriva con certezza sul piano scientifico, almeno per quanto se ne sa finora. La postura di questa donna mostra in primo piano le due mani in gesto di offerta di qualcosa apparentemente di vivo che tiene nella mano destra e anche di attesa di qualcosa che venga dato. La magnifica Eva Nera del Principio di Mauro Cesarini offre la vita come dono e nel contempo chiede aiuto per poterla salvaguardare, proteggere. Molto intenso è il sentimento di umanità che promana da questa immagine, dalle sue labbra non serrate, non da donna della civiltà moderna, tesa e impegnata nel lavoro, ma appunto antica, conscia del mistero della vita che essa è destinata ad albergare dentro di sé per poi offrirla al mondo. Essa è appena accennata nero su nero, bruno su bruno, anch’essa sembra uscire ombra dall’ombra, tuttavia la sua bellezza e la sua postura non potrebbero essere più vive: non vi sono solo segni stilizzati, ma un cenno di identità la connota e soprattutto il calore della vita la contrassegna – non emergono teschi, ossa, il corpo non compare neppure qui, ma il volto e le mani sono vive, umane. In questo splendido dipinto di Mauro Cesarini la vita è donna e sorge dal mistero come luce che imbianca le mani in offerta ed in attesa.

                                                                                                                            Rita Mascialino
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Agnese Dario: Prime luci

Agnese Dario: Radici

Agnese Dario: Barena

Rita Mascialino, Agnese Dario: Prime luci, Radici, Barena. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

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Agnese Dario espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ®  presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia tre tele che tutte parlano di un mondo che sta più o meno lentamente scomparendo, il mondo dei vecchi casolari contadini, della barena, del trevigiano, ossia di terreni lagunari periodicamente sommersi dalle maree e a vegetazione caratterizzata da alti ciuffi d’erba sparsi qui e là su terra con erba bassa e rada. I dipinti sono ottenuti con tecnica mista di matite colorate, acquarelli e pastelli su tela. La pittrice Agnese Dario ha scelto per i suoi paesaggi in lenta ma inesorabile scomparsa i colori del tramonto più bello, più rosato e dorato, colori che esprimono l’affetto e l’amore della pittrice per quel mondo fatto di ormai antichi modi di vivere e di pensare, di usi e costumi superati dal progresso, di natura ispirante un senso di pace e buoni valori esistenziali, affetti genuini vissuti al suo contatto e nelle case simbolo di focolare, quel focolare cui le tecnologie più avanzate hanno cambiato volto e sostanza. Il mondo cui Agnese Dario con somma maestria ha dato e dà memoria con la sua arte, nei suoi quadri, ancora resiste  in qualche angolo di barena, a disposizione delle sue matite colorate, pennelli e strumenti del dipingere, dei suoi sentimenti, della sua nostalgia per una realtà che sta dissolvendosi come le luci del tramonto, per quanto di buono il passato ha rappresentato nella vita degli umani e che si possono al meglio  riconoscere soprattutto adesso quando stanno per non esserci più, per svanire come le luci meravigliose del crepuscolo più sognante. Così il passato scompare come un sogno dal quale, tanto bello come lo è nei dipinti di Agnese Dario, forse non ci si vorrebbe svegliare per continuare a sognare ad oltranza e vivere in esso. Si tratta di una natura e di una storia filtrati dall’occhio della pittrice guidato dai sentimenti più fini e profondi, dalla sua mano fornita delle tecniche più raffinate finalizzate ad esprimere l’atmosfera e la luce dei crepuscoli più straordinari. Agnese Dario dipinge anche quadri ad olio con tema e stile diverso. Questo tipo di dipinti riguardante la storia di un’antica vita dei campi o del mare, dei contadini e dei pescatori risulta tuttavia un Leitmotiv della sua arte particolarmente importante per la celebrazione di questo passato di cui fra non molto non ci sarà più traccia, un mondo fatto di ritmi lenti, in armonia con la natura dei luoghi. Con i paesaggi di Radici e Barena la Dario offre uno scorcio della personalità degli umani in una natura, le terre lagunari del Veneto, che appare benigna e amica, a portata di una vita vissuta senza alcuna arroganza o illusione di potenza, bensì nei sentimenti buoni, nella semplicità, come la delicatezza dei colori sparsi sulle tele evoca. In Prime luci la barca attende i pescatori all’alba, coperta quasi perché non prenda freddo come fosse un’amica dei piccoli pescatori che un tempo traevano e ancora per poco qui e là  traggono dalla pesca il sostentamento per sé e per le loro famiglie, così che la barca diviene un’alleata, né più e né meno come una persona. Così dalle matite colorate che tracciano sicure il paesaggio e dai pastelli che ne sfumano i tracciati unitamente alle più sapienti e delicate pennellate di acquarello, escono su queste tele le variazioni espressive dei sentimenti e delle emozioni che da tale natura promanano e che Agnese Dario sa eternare.  Non ci sono in genere persone nella maggioranza di questa tipologia di dipinti riferiti alla storia del passato o che sta per divenire passato tranne qualche figura umbratile anch’essa, destinata a svanire con quella storia, quella natura ed è dalla natura ritratta da Agnese Dario che si può ricostruire l’uomo che l’ha rappresentata, un uomo che risulta armonioso nelle componenti della sua personalità come armonioso è il suo rapporto con la natura campestre, marina e lagunare, dagli ampi e paciosi orizzonti che vivono in queste tele pregne di tante variazioni espressive secondo l’emozionalità e la carica sentimentale dell’artista.  Agnese Dario ammanta una realtà amata ed evanescente delle cromie che vivono nei sogni più nostalgici, quasi un saluto che essa voglia dare a ciò che vorrebbe trattenere, ma che non può altro che lasciare tramontare facendo in modo tuttavia che il trapasso e la separazione siano meno dolorosi e restino in una memoria artistica, estetica, rosata e dorata quale quella degli affetti più fini che le tele della pittrice di Agnese Dario ispirano.

                                                                                                                           Rita Mascialino

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Premio Kafka Mostra 115

Premio Kafka Mostra 112

Anna Degenhardt: Petraea

Anna Degenhardt: Salva

Rita Mascialino, Anna Degenhardt: Petraea, Salva. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

Anna Degenhardt espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia due interessanti dipinti in tecnica mista su tavola che mostrano due molto particolari figure di donna a mezzo busto. Petraea, nome latino derivato da una subspecie della rovere o Quercus petraea, quercia pietrosa in quanto albero amante dei terreni pietrosi, raffigura un busto di donna fatto per così dire di foglie di quercia o rovere con braccia la cui postura evoca la presenza di rami robusti capaci di sostenere peso. Una donna che si identifica con una componente della natura silvestre, una donna per così dire tutta natura o soprattutto natura posta su sfondo celeste, come in un cielo sereno, celeste come gli occhi della stessa che partecipano così della spiritualità simboleggiata dal cielo aperto. Un cascata di foglie di quercia accenna alla leggiadria del corpo femminile che tuttavia è solo suggerito ed implicito, non raffigurato interamente.  Il colore di questa donna è quello del legno bruno chiaro, i capelli sono sollevati verso l’alto come se l’energia di Petraea tendesse a quanto sta in alto, collocazione simbolica dello spirito come insieme di principi morali e come attività intellettuali, artistiche, appunto come attività di alto livello. L’espressione è lieta malgrado la postura e i muscoli attivati indichino sforzo ed i legacci alle braccia ripetutamente avvolti, sebbene in forma ornamentale, hanno memoria di catene e alludono anche a simboliche catene ancora presenti nell’esistenza delle donne come mancanza di libertà, schiavitù più leggera di un tempo come mostra la levità dei legacci, pur sempre schiavitù. Il fatto che tale donna abbia espressione sorridente e ispiri letizia nonché emani femminile bellezza non cancella la fatica intrinseca alla sua funzione di sostegno, mostra tuttavia come lo sforzo per sostenere venga prodotto in un’atmosfera senza rancori né contro voglia. La donna della Degenhardt è consapevole del suo ruolo importante per la vita e ne è fiera e lieta anche se per la sua funzione non è del tutto libera di agire come le competerebbe in qualità di essere umano alla pari dell’uomo. L’altro dipinto Salva, in un termine latino che coincide con l’italiano, lingua che è  l’evoluzione diretta del latino, mostra ciò che rende salva tale donna pur sempre connotata dalla presenza di segni della schiavitù, le catenelle, sebbene appena accennate come ornamenti. Si tratta di farfalle che le sollevano i capelli, metafora dei suoi sogni, delle sue idealità, sogni che tengono la sua mente rivolta verso i valori spirituali, ideali, in particolare della fantasia artistica – la farfalla ha impatto soprattutto estetico. Il tutto è posto su sfondo celeste, di nuovo come nel precedente dipinto su un cielo azzurro, in alto dunque dove sta per antica simbologia la parte più spirituale della personalità umana, una donna anche questa animata da idealità che le fanno sopportare i legacci alle braccia con la loro triste memoria e presenza. Il mezzo busto, di colore bruno chiaro, è ornato di margheritine con capolino dorato, formato da un bottoncino di madreperla giallo oro, un ornamento che rende la donna unita alla natura di cui appare come una componente, quasi una pianta essa stessa su cui crescano fiori semplici, ma bellissimi, preziosi e impreziositi dalla forma dei capolini tattili. Anche al capezzolo sta una tale margheritina, come il latte sia nutrimento aureo per la vita che proviene dalla donna. Il fatto che le due immagini di colore bruno chiaro siano dipinte su tavola di legno rende ancora più concreta la fusione di donna e natura, come nella visione del mondo e della donna in particolare espressa da Anna Degenhardt in questi quadri, ma anche in altri, ciò che risulta essere un Leitmotiv della sua arte. Una donna che nel dittico si rivela per colei che sostiene la vita lietamente anche se, un tempo e ancora oggi seppure meno pesantemente, a prezzo di limitazioni della sua libertà, della sua personalità intesa in senso ampio.

                                                                                                                     Rita Mascialino
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Premio Kafka Mostra 067 Premio Kafka Mostra 065

Margot Di Lorenzo: Bosco degli incanti

Margot Di Lorenzo: Natura Arcaica

Rita Mascialino, Margot Di Lorenzo: Bosco degli incanti, Natura arcaica. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

Margot Di Lorenzo, disegnatrice a matita, carboncino, china, caffè e bacchette tra le altre tecniche, nei suoi disegni e nelle sue fotografie d’arte in bianco e nero segue in particolare il filone dei paesaggi naturali, soprattutto boschivi e lacustri, di alberi e fiori, tra questi ultimi è affascinata in special modo dalle orchidee per le loro spazialità spesso inquietanti. La Di Lorenzo, illustratrice di fiabe con i suoi disegni, cerca gli scorci naturali che più la affascinano e dopo ore di osservazione sceglie l’angolazione che la attira di più, quella che ne stimola maggiormente il senso del mistero cui essa come sensitiva ESP è particolarmente aperta. Sceglie l’angolazione non perché vi identifichi significati espliciti, ciò che la farebbe restare nella superficie del livello di significazione, ma al contrario sceglie solo sulla scia del suo inconscio, del suo senso estetico, ossia in profondità. L’analisi delle sue fotografie qui condotta va ad esplicitare ciò che l’artista ha scelto guidata appunto dalla sua sensibilità inconscia. Venendo alle due fotografie d’arte esposte nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia, esse si riferiscono a scorci della antichissima Foresta di Hatfield nelle regione inglese dell’Essex, la famosa Hatfield Forest ricca di leggende di demoni e storie di briganti, fotografie che si intitolano Bosco degli incanti e Natura arcaica. Nel Bosco degli incanti la Di Lorenzo ha colto un’angolazione  boschiva particolarmente estetica e densa di stimolazioni per la sua sensibilità. Non tutte le angolazioni boschive o lacustri o naturali parlano all’occhio estetico e inconscio di Margot Di Lorenzo, che prima di fotografare osserva e riosserva a lungo i più vari spazi fino a che un luogo piuttosto che un altro la attrae per il mistero che da esso scaturisce. Questo scorcio presenta all’analisi un pezzo di bosco animato, in movimento, come nelle più misteriose fiabe per bambini. Chiariamo brevemente da che cosa proviene l’impressione di questo bosco in cammino. Il tronco a destra in primo piano, a ben guardare, mostra il sembiante grottesco di un  volto rugoso di vecchio con capelli bianchi o grigio chiaro, radi in alto su una fronte stempiata ed inoltre mostra di essere con l’intero corpo in posizione sbilanciata come se si fosse appena messo goffamente in cammino e stesse caracollando o barcollando a fatica vista la sua mole pesante e non giovanilmente dinamica. Trattandosi di un albero in movimento, si tratta di un albero magico, un albero incarnazione dello spirito del bosco in un concetto di antichissima origine di natura animata. In posizione centrale ed arretrata quasi per rispetto al vecchio albero capo della comunità due tronchi vicini ed eretti paiono suggerire il passo più gagliardo di un alto albero con volto e sagoma più giovanili, comunque grottesco anch’esso come è in questo caso di alberi animati. Il suo abito a tunica con ricca trama di foglie suggerisce una funzione di iniziato alle magie del bosco, di discepolo dello spirito del bosco degli incanti o degli incantesimi. A sinistra stanno diversi tronchi più sottili, in mezzo ai quali si evidenza una forma che ricorda nel contesto quella di un folletto del bosco che scruta il cammino avanti a sé e agli alberi in movimento, mentre a destra sull’estremità della foto lo splendido gioco di luce bianca veste un tronco di un lungo abito bianco come fosse una figura di donna, così che, nel contesto magico di questo bosco, ne esce l’immagine di una fata del bosco che guarda di lato in autonomia, una fata bianca di luce, emblema della  bontà e purezza del femminile. Il fogliame chiaro, quasi bianco, rende tale bosco ancora più irreale e magico. Così nel delizioso e nel contempo inquietante Bosco degli incanti nello scatto che è piaciuto a Margot Di Lorenzo, attratta dalla mistero che essa ha percepito con la sua sensibilità di artista della fotografia, un bosco che all’analisi ha svelato il suo mistero nelle fogge segrete che lo hanno animato, spiriti, maghi e fate, folletti come nelle più arcaiche credenze degli umani. È una fotografia che, all’analisi, rivela una delle modalità relative a come siano potute nella più oscura preistoria sorgere su base inconscia tali leggende di natura animata, certo non l’unica modalità, ma senz’altro una tra le altre. In Natura arcaica domina la forza bruta degli elementi: un grosso tronco giace al suolo sradicato dall’uragano, da energie antiche quanto la Terra e sempre sovrane incontrastate. Anche qui tuttavia si osserva un’estremità della radice che nella fotografia risulta in totale ombra, si tratta della più grossa punta della radice, del tutto fuori dal suolo. Nella fotografia e nello speciale contesto essa assume la forma di un folletto nero dagli occhi cattivi, un folletto con tunica nera e cappello magico appuntito in posizione di uscita dalla terra, dalla radice, quasi questo essere, come nelle fantasie popolari e più primitive di gnomi e nani, sia esso stesso la causa misteriosa, l’artefice malvagio dello sradicamento ed il vento sia al comando delle sue arti magiche. Un tuffo nell’immaginazione più antica degli umani reso possibile attraverso i misteriosi chiaroscuri delle fotografie d’arte di Margot Di Lorenzo.

                                                                                                                      Rita Mascialino
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Premio Kafka Mostra 033

Premio Kafka Mostra 037

Annamaria Fanzutto: Jenny

Annamaria Fanzutto: Jenny sui libri

Rita Mascialino, Annamaria Fanzutto: Jenny e Jenny sui libri. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

Annamaria Fanzutto è rinomata acquarellista, raffinata pittrice ad olio ed in acrilico nonché poderosa scultrice. Nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia espone un dittico di magnifiche sculture in ceramica patinata, ossia dipinta a scultura ultimata, e due tele dalla pennellata liscia in acrilico in coppia con le sculture: Jenny e Jenny sui libri. Il dittico presenta una fanciulla speciale, non come le altre, ciò che si inferisce osservando da vicino gli occhi che non guardano con le prospettive della norma, mostrano cioè una piccola anomalia che li rende ancora più belli e magnetici. In queste due opere di Annamaria Fanzutto  la bambina speciale è posta ai vertici della cultura e della civiltà umana, come si vede dalla bellezza di cui l’artista l’ha connotata e dal luogo in cui l’ha posta: dietro di lei si scorge un’elegante finestra con fini tendaggi azzurri e fiori pure speciali, rose azzurre come gli occhi della piccola e parti del suo abbigliamento, come lo stato d’animo della bimba. Nella citazione, che sta dipinta nella tela, di un passo della poesia scritta da Gerda Weißmann Klein The Blue Rose, La rosa blu, anche la rosa triste nel sensus plenior intrinseco al termine blue, la specialità di tale fanciulla viene messa in parallelo proprio con la rarità della rosa blu, più delicata delle altre e necessitante per questo di maggiori attenzioni, ossia: una bambina speciale essendo rara, deve ottenere maggiori cure proprio per la sua specialità e rarità, deve essere per così dire la rosa blu all’occhiello di una società, della civiltà umana tutta come nel grande concetto di Annamaria Fanzutto che si sposa con quello espresso da Gerda Klein, ebrea polacca poi scrittrice americana sopravvissuta ai campi di concentramento della Germania nazista. La bimba di Annamaria Fanzutto tiene nelle sue braccia una bambola. Ciò non è senza significato: indica con chiarezza il diritto della bambina speciale ad avere i suoi giochi femminili, ma soprattutto allude al diritto naturale e civile a procreare né più e né meno come gli altri esseri non speciali, grande diritto nelle democrazie negato dai nazisti e nelle società basate su arcaici principi. Nell’altra scultura vediamo la medesima bambina  seduta su una pila di libri, mentre guarda ad uno scaffale schermato da un tendaggio: essa guarda i libri  e non è detto che li legga direttamente, non è detto che possa essere una studiosa ai vertici di attività intellettuali, nella scultura si allude al fatto che essa, anche se non impegnata in prima linea di persona – vedi parziale schermatura dei libri –, è posta comunque ai vertici della cultura di un popolo e dei popoli, sopra i libri appunto, come fosse lo stendardo della cultura democratica e civile, come fosse a vedetta e guardia della cultura, che senza di lei in tale posizione di massimo riguardo sarebbe comunque di basso lignaggio. Un bambina che ha diritto alla cultura come fruitrice e come figura di spicco. Profondi i messaggi delle due, a dir poco, meravigliose opere di Annamaria Fanzutto e splendida l’esecuzione artistica con l’elegante patinatura di colori bianco, azzurro e mistioni di verderame su ceramica non liscia, ma porosa, che dà all’abito di Jenny particolare sofficità e movimento. L’altra realizzazione della bambina speciale la vede vestita di una camiciola bianca, semplice ed essenziale, priva di qualsiasi sovrastruttura, al naturale per così dire, ad indicare metaforicamente la via della cultura verso la verità delle cose, la loro forma reale, non contraffatta da sovrapposizioni indebite. Le  due sculture mostrano bambine scalze. Senza scarpe le fanciulle non possono andare dove vogliono, senz’altro non possono andare lontano e per altro sono rappresentate in posizione ferma, statica, senza che dalle loro posture emerga un’intenzione di muoversi e nella loro mancanza di propensione al movimento e di scarpe ai piedini sta un segno, per quanto molto delicatamente allusivo, della loro specialità, un segno commovente della difficoltà a muoversi autonomamente in piena libertà come gli altri, ma anche di nuovo un segno della semplicità e naturalezza cui debba essere improntata l’esistenza in una cultura a portata umana nella splendida e raffinatissima interpretazione della scultrice Annamaria Fanzutto.

                                                                                                                          Rita Mascialino

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Premio Kafka Mostra 026

Premio Kafka Mostra 027

Premio Kafka Mostra 032

Oscar Francescutto: De La Tierra Roja

Oscar Francescutto: Mind Blues

Oscar Francescutto: Mi Yo Esclavo

Rita Mascialino, Oscar Francescutto: De La Tierra Roja, Mind Blues, Mi Yo Esclavo. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

Oscar Francescutto, pittore inserito principalmente nel surrealismo metafisico, espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia tre tele in acrilico dai titoli esotici, due in lingua spagnola: De la Tierra Roja e Mi Yo Esclavo, e uno in lingua inglese Mind Blues. In De La Tierra Roja, Della terra rossa, il riferimento di superficie è una zona della Catalogna che si chiama appunto Terra Rossa. Nel dipinto non si identifica in primo piano e realisticamente nessun lembo di terra né rossa, né di altro colore, in secondo piano si intravedono spazi rossi ed aranciati che possono ricordare suddivisioni di terreno a sua volta segnato con spazialità del corpo femminile. In primo piano a sinistra sta invece l’effigie di una donna suddivisa anch’essa in due metà, da un lato il volto a colorazione più rosata e più nella norma del sembiante umano, dall’altro il colore rosso, come la terra appunto, diffuso anche nel corpo, soprattutto nel ventre della donna come simbolo del luogo o terra rossa o di sangue in cui il seme germoglia. Il colore rosso di questa donna, oltre che per un parallelo all’area così denominata della Catalogna, ispira un concetto di vita intesa come sangue, istintualità e sentimenti accesi, all’insegna di un esistere dinamico e combattivo sia sul piano interiore sia della lotta verso l’esterno per la sopravvivenza. Una donna, quella di Oscar Francescutto, che si esprime dunque su un piano del tutto simbolico – non esistono donne nella realtà come le ha raffigurate l’immaginazione surrealista dell’artista – in un concetto di identificazione del femminile con la madre terra, da cui sorge la vita. Tale identificazione tuttavia non è totale, ossia la donna di Oscar Francescutto non è solo terra in cui seminare come potrebbe sembrare a prima vista, lo è solo per metà in quello che è stilisticamente il frazionamento cubistico e surrealistico dell’immagine, degli spazi corporei attuato nella tela dal pittore. Il volto, sede dell’identità degli individui, è, come già anticipato, per metà roseo, ossia non si identifica con la terra rossa, ma con un tratto più umano, ciò a significare la doppia identità del femminile: da un lato terra in cui seminare e da cui nasce la vita, dall’altro persona con tutte le caratteristiche della persona umana, sullo stesso piano del maschile, nel caso con una ruota in più, con uno spazio più ampio a disposizione per capire la vita. Splendido è il gioco degli spazi nel volto di questa donna. La parte rosea, più umana, appare di primo acchito sul piano frontale assieme a quella rossa sfasata in dislivello. Osservando con uno sguardo più analitico, tale parte rosea appare ritratta di profilo, come vi fossero due donne in una: quella rossa statica come la terra, quella di profilo in movimento, nell’atteggiamento dinamico di chi sta guardando e ciò ad insaputa degli altri che possono credere di vedere un volto solo, quello frontale statico e tranquillizzante perché materno, mentre ce ne sono due, uno che si lascia osservare e l’altro che osserva non visto perché mimetizzato nel volto frontale di questa donna dalla doppia personalità. Perché tale volto osserva possibilmente non visto e comunque mimetizzato così da non farsi scorgere direttamente? Perché la donna ha sempre dovuto reprimere la propria personalità così da far credere al suo compagno di non essere alla pari, così da non focalizzare la sua ira contro di sé più di quanto già facesse in molti casi. Di fatto l’uomo ha sempre identificato la donna come essere neutro, inferiore a sé e la donna, per sopravvivere e per portare avanti la vita, si è dovuta adeguare. Ora in questo dipinto formidabile di Oscar Francescutto il volto di profilo, quello umano di tale donna, ossia non solo fatto a somiglianza della terra rossa, mostra un’espressione razionalmente consapevole, uno sguardo semi frontale e semi di profilo, capace di vedere il mondo da più angolazioni, capace di capire in profondità e non solo conformisticamente la realtà. Magnifica a dir poco questa figura femminile di Oscar Francescutto, di grande impatto sulla sensibilità e sulla mente di chi la guardi interessato a godere il significato dell’arte sul piano estetico, sul piano semantico-emozionale. Nella tela Mind Blues si distingue un corpo stilizzato con spiccate rotondità che alludono al femminile, quali una grande testa rotonda con occhi e bocca pure rotondi, corpo munito di tre antenne dalla somiglianza con braccia o bracci. Si tratta di un gigantesco essere umano tecnologico, sovrastante le normali case degli umani e posto sullo sfondo del cielo, in collegamento con le energie del cosmo, un essere umano che sta fermo, ma che è in dinamico contatto con tutto l’Universo attraverso antenne che captano segnali, messaggi da ogni luogo più lontano e ne inviano. Una donna tecnologica che resta con i piedi radicati nel reale, ma che ha capacità intuitive e di comprensione che vanno ben oltre il suo posizionamento che appare fisso al suolo, non tuttavia legato o costretto, solo per così dire ben saldo. Di nuovo un essere femminile non ancorato alla tradizione che vuole la donna incapace di tecnologia, di intelligenza. Tuttavia, al di là dell’impatto di superficie, si tratta in Oscar Francescutto di una donna la cui tecnologia avanzata è quella della mente, della sua mente femminile che pare di per sé in sintonia intuitiva con le forze cosmiche. Il titolo si riferisce esplicitamente a malinconia e tristezza mentali, appunto Blues di una mente  malinconica come la esprime la splendida musica degli africani in America realizzata nelle tonalità del minore, quelle degli stati d’animo tristi, che corrispondono a quando si è ripiegati su se stessi. Dunque in questa figura femminile tecnologicamente avanzata c’è della tristezza e di fatto la figura appare quasi in croce  e piantata al suolo. Da che cosa derivi tale tristezza, si può inferire dal colore dello sfondo e dalle simbologie ad esso intrinseche su base oggettiva: l’azzurro intenso. Questo è da sempre un colore collegato direttamente ai cieli sereni, alti, come segno dello spirituale. Implicitamente tuttavia, tale cromia, di per sé fredda, si addice alla qualità più fine dello spirituale che in quanto tale sublima il calore delle passioni e dei sentimenti in purezza, un po’ similmente al concetto dell’atarassia predicato dagli antichi filosofi. La scelta dello sfondo azzurro intenso reca dunque con sé anche altro oltre la sua corrispondenza con l’alto dei cieli, ossia implica anche la necessità del sacrificio della vita istintuale comunque si manifesti. Tale condizione di spiritualità dà letizia per la sua qualità morale, per la rarefazione del sentire, per l’intellettualità, ma altrettanto certamente non reca con sé allegria la quale resta appannaggio di un sentire più materiale che, sebbene eventualmente partecipe di spiritualità, comunque non lo è a livello alto come lo sono gli ampi cieli raffigurati da Francescutto. Così questa donna, che  in quanto tale porta la vita nell’Universo, paga il prezzo della sua funzione e della spiritualità ad essa collegata con il sacrificio della sua più libera individualità, da cui la malinconia che la contraddistingue nel titolo oltre che nella rappresentazione. Il dipinto Mi Yo Esclavo, nella traduzione del pittore madrileno Il mio io schiavo, rappresenta un uomo anch’esso altamente tecnologizzato come la presenza di tubi intersecantisi ed alludenti a vari meccanismi implica e come anche e soprattutto l’aspetto dei suoi occhi evidenzia, uno dei quali, il suo sinistro, ha abbandonato la forma umana per acquisire quella di un congegno del tutto tecnologico, apparentemente più potente di quello naturale vista la configurazione di un obiettivo artificiale, di una macchina, in ogni caso non più umano. Il frazionamento della sua struttura fisica, fatta di piccoli pezzi variamente colorati, ma mai azzurri,  frazionamento che implica lo sguardo tecnologico che seziona e analizza, ma nel dettaglio, nel piccolo, evidenzia la disarmonia che consegue alla frammentazione, sul piano metaforico: si tratta di un uomo che difetta in formazione umana la quale vive di integrità ed armonia globale della visione del mondo – il suo occhio tecnologico è fatto per vedere il dettaglio, non l’insieme, ossia non lo mette in connessione con le energie dell’Universo come nella donna di Mind Blues. In altri termini: se la donna di Mind Blues, pur ferma al suolo, è in contatto con i cieli più azzurri e con  l’Universo attraverso le sue antenne mentali lanciate negli spazi cosmici ed è rimasta umana e spirituale pur con la sua tecnologizzazione che si esplica soprattutto a livello mentale, ossia ancora precipuamente umano, tale uomo non è in contatto con i cieli azzurri né con l’Universo, non è propriamente spiritualizzato, bensì è come imprigionato e guarda vicino con il suo occhio artificiale, non più umano. Ciò allude alla sua situazione psicologica di uomo che non si è sviluppato e non può svilupparsi in piena libertà in un uomo umano stante la caratteristica tecnica della mente maschile relativa a percorsi contorti come i tubi che attorniano tale figura maschile quando perde di vista l’umanità, la più fine spiritualità. L’uomo di Francescutto  è rappresentato con una grossa catena al polso sinistro, è dunque uno schiavo, il suo io è schiavo, non è qualcuno che sublima la propria mancanza di libertà in spiritualità, è appunto incatenato, prigioniero della sua mente tecnica, solo tecnica o prevalentemente tecnica che gli impedisce di approfondire la conoscenza della vita, ha un io schiavo di se stesso in primo luogo, della propria superficie. Per la conoscenza della vita a livello profondo di umanità non bastano le nozioni tecniche, ma serve lo sguardo profondamente intuitivo, capace di globalità, non frammentato, bensì di ampio raggio in possesso, in Oscar Francescutto, delle sue donne.

 

                                                                                                                               Rita Mascialino

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Premio Kafka Mostra 076

Premio Kafka Mostra 074

Marcello Franchin: Aspettando te

Marcello Franchin: Introspezioni marine

Marcello Franchin: Percorso

 

Premio Kafka Mostra 070

Rita Mascialino, Marcello Franchin: Aspettando te, Introspezioni marine, Percorso. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

Marcello Franchin espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia tre splendide fotografie d’arte in bianco e nero intitolate Aspettando te, Introspezioni marine e Percorso, le quali fanno tutte parte del più ampio progetto “Introspezioni marine – Osservazioni e sperimentazioni lungo la Costa del Friuli Venezia Giulia”, di cui è anche disponibile un bel libro dello stesso Franchin ricco di sue fotografie e di suoi testi pubblicato da Gaspari Editore. Il tema che unisce le tre immagini è il mare, simbolo per eccellenza dell’inconscio, oltre che delle oscure ed antichissime origini della vita, spaventose nella mente degli umani che hanno ormai alle spalle le acque quale habitat che fa parte del loro passato visto nella prospettiva evoluzionistica. In piena corrispondenza con le stimolazioni che possono giungere dal mare una volta che la sua natura venga convenientemente interiorizzata  sta la scelta delle spazialità attuata dall’artista Marcello Franchin le quali ne esaltano le caratteristiche di pericolosità insita in esso, di angoscia sia sul piano fisico dell’avventura nelle sue acque, sia soprattutto sul piano psicologico dell’avventura nel profondo dei circuiti inconsci, muti, il tutto espresso con sofisticate  tecniche fotografiche. In Aspettando te la sapiente vignettatura dà all’immagine la sua peculiare bellezza e la prospettiva psicologica di fondo: il cielo è nuvoloso ed oscuro e molto più oscura fino a divenire quasi del tutto nera è l’ombreggiatura dell’acqua, ciò che fa perdere alla stessa la dimensione orizzontale e rende possibile come inquietante retro percezione la dimensione di una ignota e minacciosa profondità che scende a picco nel buio come nella più ardita immaginazione cosiddetta dark. Racchiusa entro questa vignettatura formidabile dal punto di vista semantico-emozionale sta una luce diffusa divisa da una tenue linea all’orizzonte che pare unificare il cielo e l’acqua, l’alto e il basso, il conscio e l’inconscio. Interessante è l’oscuramento laterale del cielo. Esso può alludere all’avvicinarsi o all’allontanarsi del buio, ma nello speciale e cupo contesto sembra che la grigia luce al centro stia più per essere coperta dalla nuvolosità in arrivo che per schiarirsi, così da risultare  compressa da forze ad essa contrapposte che ne stiano minacciando la presenza, la piena manifestazione. Emergono dalle acque pali ancorati al fondale, punti di riferimento, in ogni caso tali che data l’esiguità non solo non evocano alcun senso di sicurezza, bensì suscitano un senso di solitudine e precarietà, di debolezza del punto di riferimento stesso. In questa atmosfera cupa il titolo rivela il senso di smarrimento e di angoscia di chi attende chi con ogni probabilità non giungerà e per altro il luogo dove dovrebbe giungere la persona attesa è il mare, non una barca che non c’è, non la terra ferma che la vegetazione oscura non ha sotto di sé, ma l’acqua, il luogo infido per eccellenza dalla cui superficie si può solo affondare nelle più oscure profondità concrete e metaforiche. Nella fotografia intitolata Introspezioni marine compare ancora un’immagine non lieta. Se nella precedente fotografia la minacciosità del mare fisico e simbolico era soprattutto implicita, in questa immagine la direzione, la strada è indicata esplicitamente: il passaggio non conduce dal mare alla terra ferma, al contrario si dirige e termina sott’acqua sovrastato da un’immensa massa marina a parete che pare in procinto di abbattersi su ciò che ancora resta del ponticello per richiudersi nelle profondità marine concrete e simboliche. Lo speciale pontile  conduce dunque dalla terraferma nel mare, in un percorso rovesciato in cui dalla vita si va dove la vita per gli umani può solo finire, per riassumere citando per associazione un verso immortale del poeta tedesco Federico Hölderlin: Es nehmet aber und gibt Gedächtnis die See, Toglie però e dà memoria il mare (Mascialino: Friedrich Hölderlin-Poesie scelte: Andenken, con introduzione, trad. testo a fronte, analisi, 1989), ossia il mare costituisce la memoria della vita sorta nelle sue acque e toglie tale memoria in un ritorno fisico e metaforico della vita umana ad esse. Il particolare gioco di luci di questa parete di acqua fa sì che essa appaia in verticale e, nella sua fascia superiore, convessa, come lentamente incombente, prossima a richiudersi sull’intero pontile a cancellare ogni via di possibile per quanto improbabile ritorno. Particolarmente impressionante e spaventosa è la direzione del percorso che sprofonda nelle acque, nella morte da esse rappresentata per quegli umani che vi si volessero immettere o che vi si fossero immessi come in un gioco d’azzardo con la vita o in preda alla volontà di porre fine alla vita stessa. In Percorsi l’atmosfera è ancora quella marina, ma il ponte di legno mostra una direzione che porta sulla terraferma, al chiaro per così dire e fuori dall’acqua, sebbene alla sua destra guardando l’immagine vi sia una discesa piuttosto a picco e più oscura che ricorda la possibilità di sprofondare negli abissi, nel profondo fisico e psicologico. I percorsi sono quindi due per così dire alla pari e forse più accentuato quello che conduce alla vita e alla sicurezza della razionalità, meno centrale quello che conduce nella rovina a destra dell’immagine con la sua discesa a forte pendenza. Ma i percorsi che Marcello Franchin ha espresso in questa fotografia d’arte non sono solo quelli appena esposti, terrestri: uscita dall’inconscio e risalita verso la vita più lieta o dal pericolo di scivolare dalla vita più lieta fino al margine dell’abisso più minaccioso. Ci sono anche i percorsi aerei tracciati dalle nubi che sembrano rispecchiare a rovescio il percorso terrestre. Le nuvole di fatto riflettono il percorso concreto e metaforico che sta in primo piano  con prospettive uguali e contrarie, come una presenza di tracciati elaborati nell’attività più spirituale e modificati fino ad essere capovolti, atmosfera neppure essa serena e inondata di luce, ma nuvolosa sebbene abbastanza chiara come metaforicamente la natura della razionalità vuole in ogni caso. Una qualche schiarita insomma rispetto alle due fotografie precedentemente analizzate, una  visione meno angosciante, ma sempre ombrosa come vuole un Leitmotiv dell’arte fotografica di Marcello Franchin. Fotografie impegnative per il fruitore, quelle di Marcello Franchin, nel contempo molto stimolanti in quanto capaci di condensare nell’immagine interi mondi psichici visitabili agli umani interessati all’arte.

                                                                                                                  Rita Mascialino

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Premio Kafka Mostra 056 Premio Kafka Mostra 058 Premio Kafka Mostra 063

Nico Gaddi: Uccelli Palustri, Frate

Nico Gaddi: Uccelli Palustri, Pampurio

Nico Gaddi: Uccelli Palustri, Segasso

Rita Mascialino, Nico Gaddi: Uccelli Palustri Frate, Uccelli Palustri Pampurio, Uccelli Palustri Segasso. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

Nico Gaddi, fotografo d’arte, scultore e pittore nonché incisore, espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia tre sculture ispirate alla fauna palustre della Laguna gradense dai titoli Frate, Pampurio e Segasso ed elaborate con fantasia. Il materiale è misto, a base lignea con componenti metallici, i nomi sono di fantasia, come ad esempio Pampurio, che risale al personaggio dei fumetti del vecchio Corriere dei Piccoli e che non ha niente a  che vedere con l’uccello palustre rappresentato tranne forse a condividere la presenza del colore aranciato del becco che sporge a mo’ di cresta con il berrettino di Sor Pampurio. La  cosa particolarmente interessante è data dalla provenienza del materiale da cui sono state ricavate le ali secondo quanto l’artista ha dichiarato: due frammenti di legno che formavano un’urna cineraria di epoca molto antica. Un’ala è integra, l’altra è spezzata, quasi il significato di morte inerente all’urna sia presente nell’ala non del tutto sana, bensì mostrante segni di corrosione, un uccello vivo che reca in sé già il destino di corruzione della materia, di disgregazione della forma vivente e nell’ala spezzata e nella struttura lignea  da cui ha tratto origine.  E certo si tratta di un Pampurio molto meno lieto del personaggio cui il suo nome si riferisce. L’opera Frate evidenzia nella scultura in legno, reso bicolore onde dare un certo movimento all’uccello, una struttura per così dire a tonaca di frate, lunga fino ai piedi o agli artigli, più chiara secondo la luce e meno chiara secondo l’ombra in base al passo, struttura conformata secondo un corpo più umano che di uccello – la parte finale dell’animale è atteggiata a tonaca che svolazza ed anche a scarpa umana posta in direzione opposta al passo, quasi l’uccello andasse in avanti e il passo dell’uomo andasse indietro in un bisticcio direzionale tra uccello e frate per così dire seguenti direzioni opposte. La fusione di uccello e tonaca di frate ha prodotto in ogni caso una figura grottesca e misteriosa adatta a popolare le fiabe, dove gli uccelli possono parlare e le figure possono mostrare strane mescolanze di esseri diversi, di passi diversi, ciò che stimola sensazioni nell’ambito del magico. Quanto a Segasso, il nome esplicita la componente metallica della sega che viene a fare parte della struttura lignea di questo di nuovo speciale uccello palustre, lama dentata che si confonde con la presenza di una cresta e di un becco acuminato, una figura che di nuovo corrisponde alla propensione per l’invenzione fantastica tipica dei bambini. Si tratta di tre figure sorte dalla fantasia creativa di Nico Gaddi nel suo laboratorio artistico di Grado e finalizzate a popolare i mondi di un immaginario in particolare fiabesco.

                                                                                                                                Rita Mascialino

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  Premio Kafka Mostra 135 Premio Kafka Mostra 138

Franco Manzoni: Mattinata – Val Grosina

Franco Manzoni: Domeca

 

Rita Mascialino, Franco Manzoni: Mattinata – Val Grosena, Domeca. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

 Il Maestro Franco Manzoni, pittore, espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia due dipinti ad olio, Mattinata – Val Grosina e Domeca. Il primo raffigura una vallata tra i monti sotto il sole di un cielo sereno movimentato dal passaggio di nuvole bianche dinamicizzate dal vento. La luce sfuma i contorni delle montagne e inonda la valle con le poche casette che contrassegnano la presenza dell’uomo comprensiva di una chiesetta che si staglia sullo sfondo assieme al suo campanile come segno presenza della devozione umana. Visibile nel tratto pittorico la scuola lombarda da cui proviene Manzoni, l’Accademia delle Belle Arti di Brera con la guida del celebre docente Enrico Carozzi e visibili anche le differenziazioni dal maestro da parte della pittura di Franco Manzoni, superamento che mostra l’abilità di Manzoni, ma anche la bravura di Enrico Carozzi capace di produrre allievi che hanno superato il maestro, come è contrassegno, sebbene non sempre presente, nei grandi maestri. Lo stile è quello di un realismo impressionista teso a ridare gli effetti della luce solare che sfumano i contorni di ogni cosa e li trasfigurano pur restando il dipinto collegato in modo identificativo al reale. Una connotazione fondamentale dei paesaggi montani di questo Artista consiste nella elaborazione della luce secondo come venga riflessa dagli oggetti più o meno direttamente e pienamente illuminati o più o meno in ombra. Le cromie che Franco Manzoni molto sapientemente costruisce e la pennellata altrettanto sapiente riescono per così dire a catturare la luce così che le sue montagne e le sue valli appaiono come un effluvio di luce solare variamente colorata. Questa caratteristica impressionistica, che pure è tesa al realismo pittorico, trasfigura il mondo concreto alleggerendolo di fatto del peso della materia che diviene appunto leggera ed impalpabile come non fosse altro che uno scherzo luminoso ricreato dall’organo della vista e dalla mano del pittore sulla realtà del paesaggio. Tali scenari risentono dell’astrattismo da cui proviene l’Artista che ha fatto il cammino inverso a quello che di solito percorre un pittore: non dal realismo all’astrattismo, ma dall’astrattismo al realismo, così che le sue immagini, pur raffiguranti la natura come essa si presenta all’esperienza umana, mostrano la matrice astratta sottostante a larghe macchie di colori variamente luminosi, variamente chiaroscurati. I paesaggi di Franco Manzoni, e questo in particolare, mostrano tutti un’interiorizzazione a livello profondo dell’esperienza della natura, che viene pertanto a fare parte integrante del senso della vita di questo pittore, dove domina un acceso sentimento d’amore che, come non può essere diversamente nelle passioni, viene vissuto come inglobamento psicologico dell’oggetto amato ed in questo sta la sua originalità più precipua, non la sola, rispetto al suo maestro Carozzi. Si tratta di un amore dalla intensissima forza vitale, ma sempre rispettoso delle qualità precipue dell’altro, nella fattispecie della natura che viene amata senza che la soggettività dell’Artista senta la necessità di contraffarne il volto al di là della già citata fine patina psicologica riversata su di essa. Anche il secondo paesaggio, Domeca, in stile impressionistico, rappresenta un’immagine molto interiorizzata del rientro a casa di quattro persone  in una fattoria attraverso un vialetto costeggiato da filari di viti dalle foglie ormai ingiallite. Si intravedono a destra il tetto di una casa con il camino e nel retro una più piccola costruzione adiacente, cui fa da sfondo un cielo quasi del tutto coperto. Separa tale paesaggio dall’altra casa in fondo a sinistra il movimento relativo ad un corso d’acqua verde in cui si riflettono le piante del luogo. Bellissima la vegetazione ritratta e apparentemente ammassata in un rigoglio che parla della cura prestata alla natura da parte dei suoi abitanti. L’immagine evoca l’atmosfera dell’autunno ormai inoltrato e quasi sembra sia piovuto da poco visti i brillanti colori delle foglie pur autunnali in assenza della luce diretta del sole schermato dalle nubi. Un quadro magistralmente realizzato da Franco Manzoni con tecnica a pennellate lisce che esprime un significato fondamentale per la vita: la gioia semplice della vita nella natura sentita come luogo in cui poter costruire per così dire la tana umana, il focolare, la casa degli affetti inserita armoniosamente nella natura, protetta dagli alberi.

                                                                                                                       Rita Mascialino
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Premio Kafka Mostra 016 Premio Kafka Mostra 021

Gianni Maran: Paura

Gianni Maran: Stransito

 

Rita Mascialino, Gianni Maran: Paura, Stransito. I Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

 Gianni Maran, pittore e scultore, espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia due tele in acrilico intitolate Paura e Stransito. I due dipinti hanno come sfondo comune la paura seppure rappresentata in modalità diverse. Nel quadro Paura l’immagine parla esplicitamente: il pesce grosso si sta avvicinando alla sua piccola preda che teme la caccia dalla quale uscirà con ogni probabilità perdente, viste le fauci del predatore enormi rispetto alla dimensione della preda. Particolarmente interessante è la presentazione della paura: la pennellata è in linea di massima liscia, non vi sono cromie scure per le acque né contrasti di colore, né chiaroscuri finalizzati ad ispirare più specificamente spavento, tutto si svolge nella quasi totale tranquillità cromatica. Le acque sono simboleggiate da linee sottili multicolori in orizzontale su sfondo chiaro, acque simboliche, quasi un reticolo di colori meno quelli delle acque marine entro il quale si svolga la vita, un reticolo o rete, come chi viva dentro di esso si trovi già ab origine in una trappola da cui non sia possibile liberarsi. Solo gli occhi dei due pesci hanno il colore del mare e ne tradiscono la presenza reale quasi essi fossero finestre da cui il mare occhieggi con la sua pericolosità, come nei migliori incubi, dove le acque emergono e si diffondono all’improvviso da una piccola pozza all’apparenza innocua. In questo quadro la paura è tenuta celata nei colori belli e tenui, dorati, celesti, rosso-aranciati. La vera e propria pericolosità è dunque mimetizzata, ma comunque espressa: sta oltre che nel reticolo in orizzontale, nelle linee rette diagonali che connotano il muso del pesce grosso, le quali rivelano la direzione re la violenza dell’azione di attacco già iniziato, capace di infrangere con l’energia profusa l’orizzontalità, la situazione di quiete, con la decisione ormai presa e mirata al pesciolino che cerca di fuggire cambiando verso nel suo moto, ma viene quasi sbalestrato dall’impeto di assalto del predatore, quindi posto ormai in sua balìa. Il pesciolino si accorge all’ultimo momento della presenza delle fauci del predatore e cerca di fare marcia indietro repentinamente come si evince dalla contorsione ad u del suo corpo, tuttavia con poche possibilità di salvarsi da una potenza di attacco tanto notevole e comunque tanto superiore alla sua. La paura quindi si esprime in questa interessante tela di Gianni Maran nell’ambito del sinistro, ossia del noto e del tranquillo in cui improvvisamente ci si avveda della cosa temibile di cui non ci si era accorti in tempo, l’incontro inaspettato con il predatore, sul piano metaforico e simbolico: l’incontro con la morte stessa che giunge non vista così che, quand’anche uno si accorga della sua presenza, è spesso troppo tardi per cavarsela. Il dipinto Stransito ha come titolo un concetto particolare, quello del transito dei defunti a Grado in particolari notti i quali poi ritornino al cimitero da dove sono usciti, parallelamente ha il significato di un avanzamento in un percorso e contemporaneamente del transito andato a finire malamente e impedito nella realizzazione, bloccato, come per altro i morti non possono tornare in vita in nessun modo. Di fatto i pesci, che si affollano mentre vorrebbero transitare ciascuno per la propria direzione, si trovano come in un ingorgo di traffico apparentemente senza via d’uscita, ingorgo che riesce a fermare appunto il traffico. La motivazione e natura di tale ingorgo è rivelata dalla speciale raffigurazione che Gianni Maran dà di questi pesci: al di là delle scaglie e dei colori dell’epidermide è reso evidente lo scheletro degli stessi e lo scheletro nell’immaginazione degli umani è rappresentativo in generale della morte, ossia ciò che ferma il transito provocando il maraniano stransito di origine gradense o l’impossibilità di avanzare, è la presenza della morte sottesa alla vita, morte che ferma ogni reale possibilità di moti che vadano oltre lo stransito appunto. Gli occhi dei pesci sono rossi, di fantasia quindi e perciò simbolici a tutto campo: umanamente parlando, si hanno gli occhi rossi quando si sta per piangere, quasi questi esseri viventi siano in qualche misura consapevoli che lo stransito non sia superabile e la morte attenda tutti quanti o prima o poi come più triste rientro a casa per così dire. Ciò non toglie che nella visione del mondo di Gianni Maran la vita mantenga i suoi colori e le sue bellezze: gli scheletri non stanno da soli con il loro non lieto messaggio, ma sono attorniati dai più bei colori della vita che rimangono tali anche nello stransito, ciò che sottolinea come la bellezza della vita in Gianni Maran non sia cancellata dalla memoria e dall’ingresso della inevitabile fine.

                                                                                                                      Rita Mascialino

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Premio Kafka Mostra 093 Premio Kafka Mostra 091 Premio Kafka Mostra 098 Marilena Mesaglio: Romantica

Marilena Mesaglio: Meridiani

Marilena Mesaglio: Angélique

Rita Mascialino, Marilena Mesaglio: Romantica, Meridiani, Angélique. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

Marilena Mesaglio, disegnatrice grafica d’arte, espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia tre stupendi disegni grafici d’arte a colori dai titoli: Romantica, Meridiani e Angélique.Marilena Mesaglio è un’artista che opera nell’ambito del disegno non servendosi tuttavia del tradizionale carboncino o delle matite colorate e neppure della più attuale penna grafica, ma adoperando il mouse, con cui crea figure e colori allo schermo del computer per poi passare alla stampa su speciale carta o tela. Se la penna grafica ricalca in parte e comunque molto da vicino l’abitudine alla scrittura come dice il suo stesso nome, il mouse se ne distanzia sostanzialmente. La principale differenza fra i due strumenti risiede nella circostanza che il mouse attiva non solo e non eminentemente la mano come al contrario la penna, ma anche tutto il braccio, così che il gesto grafico si viene a trovare in più stretto collegamento con il corpo dell’artista, a più stretto contatto quindi con le spazialità dinamiche dell’inconscio, dell’immaginifico più carico di significati che la disegnatrice proietta esteticamente nelle sue opere rendendole intense dal punto di vista semantico-emozionale, simbolico ed espressivo. Va messo in esplicita evidenza che i disegni non sono frutto di elaborazioni di programmi prefabbricati, ma solo ed esclusivamente della fantasia e della mano d’artista di Marilena Mesaglio, una mano straordinaria che sa esprimere qualsiasi sfumatura semantico-emozionale, qualsiasi immagine. La tecnica di Marilena Mesaglio si avvale di una tavolozza cromatica molto luminosa, a volte intensa, frutto della tecnica cosiddetta a pennellata dura o lunga, a volta delicata ed anche delicatissima a pennellata breve, inoltre con la sovrapposizione dei colori. Tutto ciò enfatizza le cromie in senso polisemico, profondamente simbolico e, secondo i soggetti, collegato talora al reale per il possibile in opere immaginifiche come quelle della Mesaglio. Anche l’astratto è presente nell’artista che lo adopera in genere per i temi più drammatici, forti, spesso di taglio espressionistico, siano essi idee o figurazioni. Il tratto è straordinariamente preciso nel conseguimento delle forme volute, un tratto di sapiente abilità con il quale Marilena Mesaglio è in grado di esprimere qualsiasi emozione, impressione, simbolismo, qualsiasi  realtà, qualsiasi sentimento, in breve: la sua visione del mondo profonda e sensibile”. Romantica è un’opera direttamente dedicata alla donna, alla sua bellezza fisica e spirituale, alla sua personalità. Il disegno è inondato di luce azzurra. In questa nuvola di colore celestiale oltre al volto della donna pure ombreggiato di azzurro e al suo mezzo busto nella gamma di sfumature del medesimo colore sparso in tutta la tela appaiono dei fiori azzurri con qualche presenza di bianco sfumato di un cenno di celeste e nel centro dei fiori qualche minuscolo petalo rosa, l’antico, arcaico e sempre attuale colore per così dire assegnato alla donna, nell’arcaicità alla femmina – il rosa è colore che identifica la femmina nel branco prima che colore assegnato alla bambina al suo nascere e successivamente legato alla donna. Rilevante, molto rilevante che in questo disegno il rosa compaia sì pur sempre come segno simbolico per la donna, ma molto sommessamente, nel colore delle labbra, in qualche minuto petalo di fiore, mentre tutto, fiori compresi, è azzurro, il colore che si assegna, parallelamente al rosa per la bambina umana, al bambino neonato un po’ come una divisa per entrambi, un segno di riconoscimento sessuale, un colore del costume umano che deriva anch’esso prima ancora dal branco. Questa donna è attorniata da meravigliosi fiori anch’essi azzurri in varia gradazione che connotano il suo cappello a falda larga come ad indicare l’estrema raffinatezza  e bellezza della personalità – il cappello copre il capo della donna ed è come un simbolo per quanto sta dentro di esso, per la bellezza dell’apporto della donna alla vita, nella fattispecie all’arte della donna di Marilena Mesaglio. Anche lateralmente attorniano tale ritratto incantevoli fiori celesti, con parti di bianco appena azzurrato e qui e là forme che adombrano simboli maschili privati di ogni concretezza e resi soavi essi stessi dalla personalità trasfiguratrice di tale donna, appunto romantica come dal titolo dell’opera. Così la donna di Marilena Mesaglio vede la vita, il mondo, non in rosa come la tradizione vuole, ma in celeste, una donna che anche in questo disegno ha assunto ruoli maschili nella società – persino il suo volto mostra la sfumatura celeste –, ma che non cessa di vivere il reale filtrato dalla sua personalità più raffinata, più leggiadra, lontana da ogni forma violenta, un po’ come se fosse di spettanza femminile il rendere l’azione per quanto intensa e forte comunque bella in un’armonia più profonda possibile. In questo ritratto gli occhi sono chiusi o semichiusi, comunque abbassati, come se si volessero schermare di fronte a tanta luce azzurra diffusa ovunque, ma anche come stessero ad indicare che   tanta bellezza connoti l’interiorità della donna, la sua visione del mondo sensibile e sofisticata – la gamma cromatica degli azzurri e dei celesti nonché degli azzurrati e dei lievi tocchi rosati non è cosa semplice o banale, bensì il loro sapiente intersecarsi ed intrecciarsi sortisce un effetto a dir poco sublime. In ogni caso gli occhi abbassati alludono anche ad una identità della donna che è comunque non integra, manca ad essa lo sguardo orientato verso l’esterno, quasi la donna non abbia ancora il diritto pieno di alzare lo sguardo, quasi essa malgrado le sue eccellenze o forse proprio per queste non sia del tutto padrona neppure oggi di avere una propria libera personalità, come fosse costretta a tenere bassi gli occhi, a tenersi in disparte. Ma se nel disegno c’è questo cenno sublimato in modo molto sofisticato alla situazione non sempre lieta della donna nella storia della civiltà umana e anche nell’attualità seppure in misura inferiore al passato almeno nelle culture per così dire democratiche, in esso trova grande spazio l’espressione delle qualità femminili  che oggi iniziano ad effondersi senza paura, come la donna odierna sia conscia del suo valore e lo sappia manifestare in grandezza – ricordiamo che questo ritratto è creato da una donna e non è il ritratto femminile realistico cui siamo abituati dalla tradizione. Così Marilena Mesaglio dà al concetto di romantico una dimensione nuova: non si tratta più di qualcosa che connoti i sogni anche ingenui della donna, non si tratta di un concetto che caratterizzi una donna che attenda il principe azzurro per vivere di luce riflessa dall’azione di questo, bensì si tratta di una donna il cui romanticismo è divenuto segno importante dell’estrema raffinatezza della presenza del femminile, dell’azione femminile nel mondo, di un femminile non relegato nello spazio del rosa, un romanticismo non tramontato, ma nobilitato in tutto e per tutto dalla donna azzurra di Marilena Mesaglio” (testo dal Catalogo Nel Mondo del Disegno d’Arte di Marilena Mesaglio 2014, a cura di R. Mascialino). Anche il disegno d’arte Meridiani offre un’immagine innovativa della donna, tuttavia diversamente che in Romantica. Il lato diverso che colpisce immediatamente è la gamma cromatica impostata prevalentemente sui toni del rosso. Colpisce anche la mancanza di tratti identitari al volto rispetto ai tratti bellissimi del volto in Romantica, inoltre la postura della donna che ne evidenzia qualche tratto maschile. È presente anche qualche cenno di azzurro qui e là nel corpo della donna, nella zona del cuore, nella falda del cappello e nell’ovale esterno dei due specchi laterali che mostrano al loro interno un unico colore, il rosso pieno, senza sfumature, né indebolimenti. Anche la sedia su cui sta la donna è rosso intenso. La donna è vestita di una sottile tuta avvolgente il corpo come una seconda pelle, dal collo fino ai piedi protetti in un paio di delicate scarpe color cuoio naturale, di colore simile a quello del volto e di altri frammenti della tuta, tuttavia rispecchianti in qualche angolazione i colori e le forme della tuta stessa e non poggianti al suolo sostenendo tutto il peso che viene sostenuto dal sedile della sedia. Le mani sono rosse. Se l’azzurro ispirava, tra l’altro, serenità, spiritualità e contemplazione, il rosso è, tra l’altro, decisamente il colore principe per la metafora dell’assalto data la potenza della sua onda lunga, quindi dell’azione. È sparso qui e là in forme geometriche nel corpo della donna e soprattutto connota le sue mani quali strumenti di ogni azione. Le mani sono chiuse in manopole, quasi un riferimento molto esplicito all’uso del mouse da parte della disegnatrice Marilena Mesaglio. Meno esplicitamente,  mani che non mostrano il dettaglio delle dita, nello specifico contesto semantico-emozionale, mostrano una capacità di attività non con la totale potenzialità, come se anche questa donna nuova, molto nuova rispetto alla tradizione che la vuole incapace di agire e sottomessa, pur fortemente attiva rispetto al suo passato di sottomissione, non possa ancora agire in piena libertà, un po’ come se avesse le mani per così dire legate, ossia nella fattispecie in parte impedite. Interessantissima è la polisemica natura della sedia su cui tale donna si appoggia. La forma della particolare sedia su cui si appoggia la donna di Meridiani pare quella di una sedia girevole, come suggerisce il piedistallo, una donna poliedrica, da guardare da ogni angolazione dalla quale cambia in qualche modo aspetto. La sedia scelta all’artista ha come guida il senso estetico ovviamente e questo ha come guida l’inconscio il più direttamente possibile, a livello immaginifico e intuitivo, per cui, sebbene inconsciamente e per puro senso estetico, la Mesaglio, appunto ha scelto una forma di sedia del tutto in armonia con la semantica dell’immagine la quale a sua volta è in armonia con un importante Leitmotiv dell’arte di questa disegnatrice grafica. Di fatto, capovolgendo l’immagine, si evidenzia una figura rossa dall’impronta non femminile che abbraccia e sostiene la donna che ora viene a trovarsi in posizione rovesciata. Una donna capovolta, rinnovata dalla testa ai piedi rispetto alla donna di un tempo fino ad essere appunto molto anticonformisticamente posta a rovescio, in braccio alla figura di stampo maschile, la quale la sostiene con il suo braccio ed è completamente rossa, senza cedimenti nel colore. Un uomo sembrerebbe sostenere questa donna che capovolge i valori che la tradizione le ha fatto impersonare? No, la figura non è maschile e comunque non è neppure intera, è solo accennata. La sagoma in questione funge da ombra a questa figura femminile. È la parte maschile di questa donna che sostiene la nuova femminilità rappresentata nel capovolgimento della struttura. Tale donna mostra di avere più forza proprio nel possesso dell’ombra che la sostiene, rossa e di impronta meno femminile. Guardando il disegno così come sta, con la donna seduta sulla particolare sedia, è allora l’ombra di impronta maschile ad essere rovesciata. Di fatto l’ombra con tratti maschili che sostiene questa donna possiede una mascolinità anch’essa nuova simile in qualche tratto a quella della donna, un’ombra dai tratti maschili più vicini alla personalità femminile di quanto sia la realtà maschile tradizionale, di un tempo, realtà che nella visione del mondo dell’Artista deve cambiare anch’essa. Interessanti anche i due specchi, ovali per come appaiono nella prospettiva, i quali riflettono dentro di sé solo il colore rosso a connotazione metaforica di donna e ombra, mentre il loro bordo più esterno è azzurro, come segno che il mondo in cui questa donna proietta la sua parte più intensa è azzurro come nella donna di Romantica, ossia in parte come segno della nuova femminilità, in parte comunque e sempre spirituale, come segno che l’azione, per quanto rossa e intensa, capace di osare quanto non era mai stato osato in precedenza,  è ancora racchiusa nell’ambito di una femminilità rinnovata, ma mai brutalmente materiale. Meridiani, circonferenze che racchiudono e misurano interi mondi, i mondi della nuova spiritualità femminile di Marilena Mesaglio. Così i due disegni Romantica e Meridiani, all’apparenza così diversi, evidenziano all’analisi significati conduttori che hanno frange appunto semantiche che si sovrappongono.  In Angélique troviamo un magnifico fiore dai colori tenui e delicati e dalla corolla leggerissima, un fiore frutto dell’invenzione di Marilena Mesaglio e quindi tanto più fatto di simboli, come per altro sono fatte di simboli prodotti dalla fantasia artistica di questa disegnatrice eccellente anche le due donne appena analizzate. Un fiore che è una festa del femminile, della più fine estetica. Appare posto non sulla terra, non radicato nel basso, ma nel cielo e appare uscente dalla figura femminile che ne forma lo stelo con le sue gambe nude associabili nel caso a gambe vestite di pantaloni sottilissimi. La corolla del fiore sostituisce il volto di tale donna-fiore, fornendole una identità magnifica di sublime leggiadria in uno scoppio vero e proprio di bellezza in piena apertura per accogliere l’altro nella raffinatezza dei suoi petali dalla stupenda e delicatissima cromia aranciata, ma anche tutto il sole che splende nella vita, segno che questa donna sa godere del bello della vita seppure in perfetta solitudine come evidenzia il contesto in cui si trova lo speciale fiore. Al centro della corolla sta una struttura del tipo del gineceo floreale che si continua nei sepali. Tale gineceo, femminile nel nome, in questo fiore simbolico è azzurro pervinca, il colore socialmente usato per la differenziazione tradizionale tra maschio, azzurro appunto, e femmina, rosa. Così anche qui proprio la parte più femminile del fiore ha il colore associabile al sesso opposto, di nuovo nella speciale fusione di tratti maschili e femminili come in uno dei Leitmotiv semantici fondamentali dell’arte di questa disegnatrice. Attorno alla parte superiore dello stelo si individua molto agevolmente, ma anche molto finemente, una evanescente giacca bianca di taglio quasi maschile con colletto formato dai sepali azzurri, il tutto in un’immagine femminile di insuperabile grazia pur nella citata mistione di tratti del sesso opposto, tratti che mai in questa artista vengono a deformare o disturbare la più raffinata femminilità ed estetica, tratti che presentano anche il maschio in modo nuovo, con un tocco di raffinatezza. Tutt’intorno a tale splendida figura battono cuori solari di varia grandezza che ripropongono il battito del cuore di tale donna individuabile nel lato sinistro della giacca. Cuore come lo è il contrassegno fondamentale dell’affettività quale regno incontrastato del femminile rappresentato in questa donna nuova, ma sempre angelica, aerea, come fatta di puro spirito e bellezza, appunto Angélique.

                                                                                                                                       Rita Mascialino   

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Premio Kafka Mostra 053 Premio Kafka Mostra 049 Premio Kafka Mostra 045

Alberto Quoco: Spazio Terra 1

Alberto Quoco: Spazio Terra 2

Alberto Quoco: Spazio Terra 3

Rita Mascialino, Alberto Quoco: Spazio 1, Spazio 2, Spazio 3. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

 Alberto Quoco, fotografo d’arte, espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia tre fotografie d’arte dai titoli uguali differenziati solo dal loro numero: Spazio Terra 1, Spazio Terra 2, Spazio Terra 3. Si tratta di fotografie attuate con elaborazione artistica personale di un photoshop riferito alla optical art anche nota come op art sul modello linguistico della popular art anche nota come pop art con cui tuttavia non ha nulla in comune. Si tratta di un’arte che risale agli anni Sessanta del Novecento e rappresenta una delle avanguardie fiorite in tale secolo, in ogni caso un’arte che si inserisce nel più generale insieme dell’arte cinetica. Il Maestro riconosciuto come capo dell’avanguardia fu il grafico e pittore ungherese Victor Vasarely. Detto molto in breve, caratteristica precipua di tale arte era il tentativo di riprodurre il più possibile il movimento in forme geometriche essenziali, in reticoli che si dilatavano o si sarebbero dovuti dilatare a seconda di come il visitatore guardasse l’opera. Nei fatti ciò non si realizzò, anzi si realizzò il contrario. A parte il fatto in sé per nulla originale di voler rendere il movimento nelle opere figurative, ciò che la maggioranza degli artisti ha da sempre voluto fare, i reticoli di Vasarely e dei suoi seguaci bloccano il movimento come poche altre modalità figurative, producendo immagini del tutto statiche. Dopo il cenno solo allusivo alla op art e doveroso volendo presentare le tre fotografie di Alberto Quoco, possiamo dire che il ritorno della op art in queste fotografie è molto diretto anche negli esiti: il movimento non è catturato attraverso i reticoli, anzi diviene staticità molto accentuata – e per altro le tre figure hanno come base tre prospettive diverse di edifici di per sé del tutto immobili. Strutture che dominano sono lo spazio che si gonfia formando una cavità, penetrata da una retta, così che si ha di fronte un mondo chiuso con l’asse magnetico perpendicolare come segno fallico di penetrazione nella cavità, da ciò il titolo delle fotografie molto appropriato dello spazio-terra, cavità intesa come terra e asse inteso come penetrazione nella cavità. Compaiono ulteriori simboli sia fallici che femminili facilmente individuabili.Senz’altro belli in queste fotografie di Alberto Quoco i colori primari e complementari che si succedono uno all’altro in modo netto a delimitare aree diverse o passano uno nell’altro con delicata sfumatura.

                                                                                                     Rita Mascialino

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Premio Kafka Mostra 117 Premio Kafka Mostra 124 Premio Kafka Mostra 121

Sergio Romano: Paesaggio 1

Sergio Romano: Paesaggio 2

Sergio Romano: Paesaggio 3

 

Rita Mascialino, Sergio Romano: Paesaggio 1, Paesaggio 2, Paesaggio 3. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

 Sergio Romano, pittore, espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia tre graziose tele ad olio intitolate nello stesso modo con numerazione in successione: Paesaggio 1, Paesaggio 2, Paesaggio 3. Si tratta di un paesaggio primaverile che si specchia in un laghetto, di un paesaggio primaverile collinoso e di un paesaggio dai colori autunnali, quest’ultimo dalla dimensione lievemente più grande rispetto agli altri due. Soprattutto quelli primaverili con le loro macchie di colore acceso, rosso, giallo, blu, verde e sfumature di azzurro e di grigio ricordano nella tecnica della pennellata la composizione di un mosaico fatto a tessere colorate e giustapposte. La dimensione ridotta delle tre tele dà ai paesaggi  a nota intimistica, un rapporto con la natura il quale ami i piccoli spazi, gli orizzonti controllabili che non spaventano, ma che infondono sentimenti quieti non turbati da passioni squassanti.

                                                                                                                                 Rita Mascialino

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Premio Kafka Mostra 003 Premio Kafka Mostra 004 Premio Kafka Mostra 009

Daniela Savini: Inquietudine

Daniela Savini: Nell’ombra

Daniela Savini: L’io fisico e il sé

Rita Mascialino, Daniela Savini: Inquietudine, Nell’ombra, L’io fisico e il sé. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

Daniela Savini, pittrice, espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia tre tele in acrilico: Inquietudine, Nell’ombra, L’io fisico e il sé. Nelle tre tele compaiono uomini e donne dell’epoca attuale come le fogge dimostrano, persone che tutte mostrano un motivo o l’altro di crisi sia nella presenza di un loro doppio sia comunque nell’espressione non lieta. In Inquietudine troviamo uno splendido ritratto di donna, bella e disinibita nell’aspetto generale. I colori sono dati con pennellata prevalentemente liscia e nella parte inferiore al mezzo busto i giochi di luce che dissolvono la struttura evocano la presenza di acque in cui il corpo pare stazionare, un’acqua simbolica per lo stato d’animo di questa donna pur così moderna e sicura di sé nella postura. Una donna con l’acqua non alla gola, ma comunque non ancora o non in situazione di sicurezza. Gli occhi sono due fessure sotto una delle quali si intravede un cenno quasi invisibile di pupilla, mentre l’altro ne è privo, quasi fosse del tutto cieco e non potesse guardare e vedere. Dalla prima impressione di sicurezza dovuta alla postura emergono due caratteristiche che tolgono la capacità di agire autonomamente: la capacità visiva a metà o anche meno di metà, inoltre l’acqua in cui sta metaforicamente il corpo, una base del tutto infida, un po’ come la donna fosse in pericolo di farsi sopraffare dalle acque in cui staziona. Al collo, nello speciale contesto, la sciarpa scura costituisce un legame anch’essa, come un collare da cui la donna è trattenuta e che vorrebbe togliersi,quasi un ultimo resto di chador. Le due figure maschili in dissolvenza alle spalle, un mezzo volto non lieto e non giovanile che controlla la donna più che proteggerla, nonché la presenza a sinistra di pantaloni in cui la cintura, luogo del potere maschile, è raffigurata all’ingrandimento ed una gamba avanza come a costringere la donna, ad impedirle il passo libero, l’uscita dalle acque, dall’evanescenza, tutto ciò fa di questa tela una sintesi estetica delle difficoltà della donna nella storia e nell’attualità. Il dipinto Nell’ombra raffigura un mezzo busto di uomo nello stile della pittura classica padroneggiato magistralmente come disegno, prospettive e stesura dei colori da Daniela Savini: l’uomo è ritratto su sfondo bruno, privo di luce e solo sfumato ai margini, è vestito di una camicia tra il nero e il bruno, guarda lateralmente con intensi occhi scuri completamente aperti e raffigurati perfettamente, tiene le mani a dita intrecciate, giunte come in preghiera e come quando ci si vuole dare forza d’animo per superare le avversità. Lo sguardo non è lieto, quasi senza speranza se non fosse per l’intreccio delle mani che denotano tensione, volontà di raggruppare le forze per farcela. Un uomo che può guardare a tutto campo con occhi precisamente definiti, tuttavia in situazione di frustrazione come si evince dalla postura per così sì dire con le spalle al muro, nonché  anche dal fondo scuro con l’unica luce sul volto comunque in parte oscurato dalla barba, sulle mani in preghiera e avambracci, sulla piccola porzione di petto che si intravede nudo dalla camicia aperta, quasi sia un penitente, un uomo che si punisca per qualcosa, un uomo che debba pentirsi di qualcosa, comunque in desolazione. Dall’insieme si evince il sembiante di un uomo che si nasconde appunto nell’ombra come dal titolo di questa tela, che ha motivi di nascondersi e di essere in cerca di energie per fare fronte alla sua vita che evidentemente non scorre liscia né felice, un uomo che, pur diversamente dalla donna di Inquietudine e sebbene dotato di occhi per vedere e libertà di guardare ovunque, si imprigiona egli stesso e si pone alle corde. Un uomo in crisi psicologica, molto adatto a rappresentare l’uomo dell’epoca attuale in cui è per lui più difficile dominare come un tempo quando nessuno lo contrastava, quando la donna era sottomessa nella misura più totale, un uomo  incapace di prendere in mano la sua nuova situazione esistenziale e che pensa di avere perso il potere, visto che preferisce nascondersi al buio appunto per non farsi vedere, per non affrontare la realtà, gli altri. Nella tela L’io fisico e il sé Daniela Savini presenta l’uomo con la sua doppia effigie, un doppio che nell’immagine del sé ha metà volto, mentre l’altra metà resta nascosta ed invisibile, un sé che appare sinistramente alle spalle dell’uomo, fornendolo di un’espressione inquietante che nessuno vede, ma che occhieggia sinistra dietro di lui, quasi questo sé sia una eminenza grigia che diriga l’io apparente, quello che appare a volto intero in un fisico innocuo, ma che porta dietro di sé la propria ombra come sé dal volto contraffatto e dai piani non dichiarati, non espliciti, nascosti, ma presenti ad insaputa dell’io fisico, come il sé di quest’uomo così inoffensivo all’apparenza fosse un doppio dalle inquietanti intenzioni che l’io fisico realizzasse sia in quanto dotato consciamente di doppiezza e quindi pericolosità, sia senza neppure avvedersene e in tal modo ancora maggiormente preda dal sé alle spalle. Così nel gioco delle varie componenti della personalità espresso con maestria tecnica e simbolismo mai allegorico nelle belle tele di Daniela Savini.

                                                                                                                              Rita Mascialino
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Premio Kafka Mostra 128 Premio Kafka Mostra 132

Sergio Simeoni: Acquario 1

Sergio Simeoni: Acquario 2

Sergio Simeoni: Acquario 3

Sergio Simeoni: Aquiloni

Rita Mascialino, Sergio Simeoni: Acquario 1, Acquario 2, Acquario 3, Aquiloni. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

 

Sergio Simeoni, pittore, espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia quattro piccole tele in acrilico delle quali tre, le più minute, sono dedicate al tema dell’acquario come vuole il titolo Acquario ripetuto uguale per i tre dipinti tranne che nella numerazione in successione, mentre la quarta tela, meno piccola, è dedicata per contrasto ad un tema aereo, agli Aquiloni che volteggiano appunto nell’aria. I tre scorci di acquari mostrano tinte forti: rosso come i più vivaci coralli, verde come i più vitali intrichi di alghe e di vegetazione marina, azzurro come l’acqua e verdastro come gli aggregati di cianobatteri e microrganismi filamentosi. Piccoli dettagli marini che appaiono come frammenti della vita nel più profondo mare isolati dal contesto, un habitat, quello marino, molto caro all’arte di Sergio Simeoni che ha raggiunto vere vette nella sua rappresentazione in tele di maggiore dimensione. Nel dipinto Aquiloni si intrecciano vari aquiloni sui toni del grigio e del nero su sfondo bianco, aquiloni quindi non reali – non esiste un cielo bianco -, ma del tutto simbolici: idealità ormai non più vivificate dai colori della speranza di realizzazione, idealità le quali esistono comunque ancora e stanno alte, ma appunto prive di letizia, di sentimenti accesi, come tristi residui di ciò che un tempo si librava in cielo spinto dalle più rosee aspettative, dai più bei sogni. Una tela che esprime un significato importante, ossia come i desideri degli umani, pur perdendo inevitabilmente o tosto o tardi i colori della vita, possano resistere in ogni caso in quanto idealità, speranze, mete che volevano essere raggiunte e possono ancora essere raggiunte, come in essi permanga sempre un fondo di fiducia nella vita, anche se meno roseo, in altri termini: come le speranze, per quando esigue, siano le ultime a morire.

                                                                                                                        Rita Mascialino

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Premio Kafka Mostra 167 Premio Kafka Mostra 163 Premio Kafka Mostra 155 Caterina Trevisan Mulitsch: L’Isonzo in Bisiacaria

Caterina Trevisan Mulitsch: Valle d’Istria in Musica

Caterina Trevisan Mulitsch: Stefania giovane attrice di Gorizia

Rita Mascialino, Caterina Trevisano Mulitsch: L’Isonzo in Bisiacaria, Valle d’Istria in Musica, Stefania giovane attrice di Gorizia. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

Caterina Trevisan Mulitsch, pittrice, espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia tre tele in acrilico: L’Isonzo in Bisiacaria, Valle d’Istria in musica, Stefania giovane attrice di Gorizia. Le tre opere sono realizzate tutte in armonia di colori nelle varie sfumature dell’azzurro e del violetto come tinte predominanti: sono azzurri e violetti i fiori che costeggiano lo storico fiume Isonzo noto soprattutto per le battaglie della I Guerra Mondiale e la disfatta finale di Caporetto, è soprattutto azzurra e violetta la cubistica interpretazione della Valle d’Istria conformata a violino come omaggio non solo pittorico ma anche musicale di Caterina Trevisan Mulitsch a questa terra ad essa così cara, anche il ritratto della giovane attrice ha le medesime tonalità, si potrebbe definire un trittico in viola e in azzurro. Venendo all’Isonzo in Bisiacaria che lambisce l’Altopiano Carsico, anch’esso dalla tragica fama per le tremende battaglie del Carso, sono in primo piano all’ingrandimento gli arbusti floreali che  spiccano alti e isolati l’uno dall’altro su una costa del fiume che, noto per le sue acque verdi, qui è azzurro rispecchiante il cielo sereno. Anche la vegetazione sulla riva opposta è azzurra, un colore quieto ispirante pace, quasi il dipinto di Caterina Trevisan Mulitsch sia un augurio di pace a coloro che hanno combattuto e sono morti per la Patria attorno ed in questo fiume. Omaggio floreale avvolto nel celeste violetto per la bella natura della Bisiacaria, celeste non del tutto lieto ma intriso di sfumature viola, un colore che in varie culture è associato al lutto e che associa l’omaggio floreale in memoria dei caduti nell’emozionante dipinto della pittrice, come un cenotafio posto dalla natura e dall’amore di chi ricorda con animo pacificato, come questo molto simbolico e semplice paesaggio della Trevisan rappresenta. Per altro il viola è  una mistura, principalmente, di blu e di rosso, ossia una mistura che rappresenta di per sé un indebolimento del rosso attraverso i toni più pacati del blu, un indebolimento quindi dell’energia vitale.  Domina questa tela il celeste del cielo, come il celeste delle acque in cui esso si riflette, blu i boschi sulla costa e bianchi con varia cromia gli arbusti floreali che ricordano nella loro essenzialità croci di fortuna, ma appunto ormai fiorite in un ricordo di eventi lontani che pur dolorosi – questi fiori non parlano di letizia, non sono rigogliosi e non alludono ad una vita prorompente, ma sono essenziali, sobri e scarni – sfumano e confondono il dolore con la pace ispirata da una vita nel celeste dei cieli, nello spirito e non più vicina al sangue sparso, come appunto suggerisce questa tela ricca di sentimenti della Trevisan.  La Valle d’Istria in musica offre un’interpretazione di nuovo carica di sentimento della natura istriana. La spazio reso cubisticamente pone a stretto contatto le costruzioni e la natura creando un’armonia tra le componenti messa in risalto dalla forma a violino che emerge dalla composizione. Anche qui i colori dominanti sono varietà di azzurri, violetti e rosacei, mentre spicca un campanile a testimonianza della devozione dell’umanità credente raccolta attorno a questo simbolo di comunità umana raccolta nella pace e nel rispetto dell’ordine naturale delle cose, in sintonia con il senso del divino.  Nel suggestivo ritratto di Stefania giovane attrice di Gorizia i toni sono i consueti in questo speciale trittico: il blu, l’azzurro degli occhi e dei riflessi sul blu, il rosaceo e violetto sparsi nello sfondo. La spazialità del dipinto vede il mezzo busto della giovane e bellissima donna come sorgere da una vegetazione fatta di erbe dalla cromia violetta, come fosse la donna stessa il fiore che sboccia prezioso dalla natura. Anche questo un omaggio floreale sul piano metaforico all’attrice, anche questo tenuto nei toni di un ricordo quieto, non di vita prorompente, ciò nonostante la bellezza della donna – i colori non sono quelli del rigoglio, ma della malinconia e la stessa per così dire fioritura della donna da tale vegetazione violacea ispira la memoria più che il festeggiamento. Molto cariche di emozioni le tre belle tele di Caterina Trevisan Mulitsch.

                                                                                                                       Rita Mascialino

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Premio Kafka Mostra 087 Premio Kafka Mostra 084

Isabelle Turrini: Poesia in giardino 1

Isabelle Turrini: Poesia in giardino 2

 

Rita Mascialino, Isabelle Turrini: Poesia in giardino 1, Poesia in giardino 2. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

Isabelle Turrini, pittrice, espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia due tele in acrilico: Poesia in giardino 1 e Poesia in giardino 2. Lo stile può considerarsi appartenente al genere artistico naïf, la pennellata è di tratto breve, molto minuziosa, l’immagine ricorda atmosfere vagamente giapponesi adatte alla meditazione trascendentale, in ogni caso ispiranti lo stato d’animo della serenità goduta nella stasi, nell’assenza di azione. Molto si gioca sulle diverse cromie del verde e verde azzurro, in cui sono inseriti qui e là fiori rossi, all’apparenza soprattutto papaveri  che danno la nota accesa di colore nel contesto riposante dei verdi. Tutto è come precisamente disegnato, non ci sono sfumature impressionistiche, appunto c’è la meticolosità di ogni corta pennellata come vuole certo stile naïf. Tale semplicità è consapevolmente voluta dalla pittrice ed è finalizzata a rimpicciolire gli spazi così come è corto, piccolo e dettagliatissimo il tratto  pittorico, ossia è finalizzata a rendere gli spazi a portata umana, di un’umanità non frettolosa, ma capace di godere delle piccole cose, dei silenzi di un giardino, della poesia di una natura curata e resa domestica dagli uomini, separata dal progresso, dal brusio. Il giardino poetico sembra quasi un giocattolo per bambini tanto è piccolo, sembra essere lontano dal mondo intero, rappresenta un’oasi di pace e di contemplazione, appunto adatto a creare l’atmosfera consona alla contemplazione poetica, ad occuparsi di poesia. I due diversi scorci dell’unico giardino mostrano due viste di questo giardino. Una dà sul patio raggiungibile salendo una breve scala e fornito di comode sedie per chiacchierare tranquilli all’occasione o per leggere e produrre poesia o anche solo per godersi la bellezza della natura al riparo di troppa luce o di lievi piogge con doppia apertura all’ingresso e all’uscita sul limitare domestico e sul verde più ampio e disteso. L’altra mostra un percorso di pietra che sale dal limitare domestico e si addentra faticoso in un’altra regione del giardino nascosta dall’intrico sempre più fitto di erbe e tutto pare attendere di essere goduto da presenze umane. Così la poesia in questo giardino di Isabelle Turrini può vivere di dolci emozioni al chiaro del sole, ma anche di meandri nascosti, come nei due dipinti, semplici alla prima occhiata, ma più complessi affondando lo sguardo.

                                                                                                                                Rita Mascialino
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Premio Kafka Mostra 158

Adriano Velussi: Trittico

Rita Mascialino, Adriano Velussi: Trittico. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

Adriano Velussi, pittore, espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia l’opera Trittico in acrilico su tela composto di tre parti che si possono unire e formare un unico dipinto o si possono separare e formare tre dipinti singoli. La pennellata è liscia e sapiente, capace di ridare tutte le sfumature volute dal senso estetico dell’artista. Nel trittico, considerando l’immagine per il lungo, si ha come un corpo femminile disteso con una forma rotonda al centro come fosse nel grembo, una forma a uovo con cromia corrispondente, quale emblema della vita in quanto simbolo della fertilità della donna che tale vita porta nel mondo. Tale uovo è dotato di un foro, il quale è un Leitmotiv religioso e spirituale del messaggio artistico di Adriano Velussi indicante nelle sue tele un passaggio dalla vita terrena lla vita spirituale, un passaggio che apre una via che conduce al cosmico, all’infinito, all’eterno, ad una vita – vedi figura dell’uovo-sole più grande sullo sfondo – diversa seppure associabile in qualche modo a quella terrena e pur sempre vita più grande, appunto eterna ed infinita come eterno ed infinito pare essere il paesaggio nello sfondo che allude all’Universo, verosimilmente eterno ed infinito, con i suoi fenomeni tra cui la presenza del sole come fonte di luce che fuga le ombre attorno a sé e come simbolo favorevole alla vita dall’alto dei cieli. Nella figura che si estende in orizzontale si vedono sparse ovunque mucillagini, trattandosi della spazialità del corpo femminile associabili a placenta e fluidi della vita, ciò che fa assurgere la donna a colei grazie al cui sacrificio si realizza la vita e si moltiplica. Sacrificio, in quanto la gestazione ed il parto come pure lo stato post partum costituiscono un sacrificio non piccolo di sé: tra gli altri, il rischio della vita stessa, inoltre la struttura fisica che si deforma e lascia segni indelebili, la salute che con la gestazione subisce dei contraccolpi da cui spesso non vi è recupero, le difficoltà nella realizzazione di sé nel lavoro, negli studi e simili rinunce non da poco. La figura distesa evoca anche la presenza di acque marine con mucillagini, acque e mucillagini che fanno parte integrante dell’origine e sviluppo della vita. Il colore azzurro indica sia il colore dell’acqua che funge da substrato alla vita, sia la sfumatura che lo spirituale ottiene nella cultura umana: celeste come appunto i cieli quali sede del divino, comunque dei valori spirituali.   Così nello stupendo Trittico di Adriano Velussi.

                                                                                                                      Rita Mascialino

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Premio Kafka Mostra 152 Premio Kafka Mostra 149

Ernesto Volpi: Abano- Crepuscolo e Progress

Ernesto Volpi: Nirvana

Rita Mascialino, Ernesto Volpi: Abano-Crepuscolo in Progress, Nirvana. II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® IV Edizione 2014: www.franzkafkaitalia.it: Recensione.

 

Ernesto Volpi, pittore, espone nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kafka Italia ® presso il Kulturni Center Lojze Bratuž di Gorizia due tele in tecnica mista: Abano-Crepuscolo e Progress e Nirvana. Lo scorcio di Abano – Crepuscolo e Progress è in stile astratto con una certa vicinanza ancora al reale su cui la spazialità pur astratta è impostata. Di fatto si intuisce la presenza di un viale in prospettiva costeggiato da parchi e strutture abitative nella luce crepuscolare. Tale viale, importante della città connotata dal progresso e dalla modernità, nell’ora del tramonto assume un aspetto prezioso come il colore dominante dell’oro rivela, ciò che mostra la particolare sensibilità del pittore per gli effetti di luce che proprio nel crepuscolo assumono spesso le sfumature del dorato. Non ci sono tinte rosate o azzurrine in tale crepuscolo, solo l’oro dà ad ogni cosa il suo tono di bellezza nell’eleganza assieme alle tonalità del bruno e del bianco in sintonia con esso. Nella tela Nirvana si viene trasportati nelle civiltà di cultura buddhista e zen, si vede un ritratto di donna ad occhi chiusi immersa nella meditazione trascendentale e nella tinta dorata che è uno dei colori fondamentali che si vedono durante la meditazione ad occhi chiusi ed è anche un colore dominante nell’arte di Ernesto Volpi, raffinato pittore dalle tinte preziose, dai toni pacati. Da dietro il capo della donna sembra promani il colore radiante di un aranciato impreziosito dall’oro come tinte del trascendale  e dell’energia della donna immersa in una dimensione ormai cosmica e non più terrena. Così la vita spirituale, ma anche materiale, in queste tele viene rappresentata come qualcosa di pregio inestimabile, come un gioiello che splende come l’oro.

                                                                                                                          Rita Mascialino

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Scorci della II Mostra d’Arte del Premio a sala vuota e Curricula degli Artisti

Premio Kafka Mostra 170 Premio Kafka Mostra 171 - Copia - Copia Premio Kafka Mostra 174 Premio Kafka Mostra 175 - Copia Premio Kafka Mostra 176 Premio Kafka Mostra 177 Premio Kafka Mostra 178 Premio Kafka Mostra 179 Premio Kafka Mostra 180

Premio Kafka Mostra 184 - Copia Premio Kafka Mostra 185 - Copia Premio Kafka Mostra 186 - Copia Premio Kafka Mostra 187 - Copia Premio Kafka Mostra 188 - Copia Premio Kafka Mostra 190 - Copia Premio Kafka Mostra 191 Premio Kafka Mostra 194 - Copia Premio Kafka Mostra 183 CURRICULA DEGLI ARTISTI (ordine alfabetico)

Roberto Barbina è nato a Udine dove vive e ha iniziato il suo percorso artistico frequentando i corsi triennali di serigrafia pubblicitaria presso la “Scuola d’Arte e Mestieri Giovanni da Udine” e quelli di approfondimento del ritratto, pittura  e incisione presso i laboratori della Galleria Artemisia di Pozzuolo del Friuli. Una lunga e attenta ricerca di tematiche e sperimentazioni delle varie tecniche, lo hanno portato negli ultimi anni all’uso di un linguaggio più simbolico e informale nella realizzazione delle sue opere. Sempre attento e aperto al confronto con altri artisti, ha partecipato a numerose esposizioni nel territorio nazionale; attualmente continua la sua ricerca con l’antica tecnica raku, che adatta ai nuovi lavori: ceramiche  murali e sculture con accentuato discorso astraente, con colori usati non in funzione decorativa ma in funzione costruttiva con forti toni cromatici. Il rispetto della materia fa sì che non ci siano pregiudizi in chi la utilizza: infatti ogni manufatto di materiale “povero” come l’argilla è sempre preceduto da una progettazione, che in laboratorio si modifica allaricerca di un d Premio Kafka Mostra 175 inamismo della forma e volumi adatti a catturare la luce.

 

Mauro Cesarini  è nato a Rauscedo PN  e vive a Zoppola PN. Svolge la sua attività imprenditoriale ai Vivai cooperativi. La passione per l’arte è nata quasi per caso scovando gessetti a olio dentro una vecchia scatola da scarpe. Pattecipa a mostre importanti in tutto il mondo, tra cui alla collettiva “I dialoghi del colore” alle Crisolart Galleries, a Manhattan, nel cuore di New York. La mostra, curata da Rosi Ranieri e già presentata a Barcellona in dicembre, va ad arricchire il curriculum già prestigioso di questo artista.  Espone in numerose Mostre nel Triveneto e in altre regioni italiane, personali e collettive tra cui alla Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea The ways  of art” presso la galleria  Infantellina Contemporary, a Berlino, al Lido di Adriano Ravenna, Melting Summer e alla Biennale di Ferrara, alla Crisolart di Barcellona e di New York, nonché ai Musei Vaticani.

Agnese Dario vive e lavora a Chiarano TV nell’Azienda vinicola ereditata dal padre, dove ottiene primi e prestigiosi premi in ambito regionale e nazionale per i suoi vini doc., azienda che essa cura con i metodi antichi finalizzati alla genuinità e alla bontà del prodotto come già appunto i padri.  Parallelamente a questa attività che la porta in seno alla natura, ha frequentato vari Corsi di pittura ed anche l’Accademia d’Arte Marusso di San Donà di Piave VE, nonché frequenta anche attualmente corsi di ulteriore specializzazione tecnica. È da sempre esperta nelle varie tecniche di pittura ad olio, in acrilico, ad acquarello e matite e di preferenza utilizza la tecnica mista di pastelli,  matite colorate e acquarelli che usa con grande maestria soprattutto per rendere nelle sue tele la meraviglia delle atmosfere della barena, della laguna della sua terra. Fa mostre soprattutto nel Triveneto, ma anche in altre regioni italiane e all’estero.

 

Anna Degenhardt, di Aiello del Friuli UD, è diplomata Maestra d’Arte in decorazione pittorica a Gorizia e in Maturità d’Arte Applicata a Venezia ed è specializzata in Tecniche dell’Incisione presso la Scuola Internazionale di Grafica di Venezia, nonché in fusione in bronzo presso la Sommerakademie di Salisburgo sotto la guida di Josef Zenzmaier allievo e assistente del celebre scultore Giacomo Manzù. Produce terrecotte e bronzi, opere ad acquarello, ad olio ed in acrilico, stampe ad acquaforte ed acquatinta, illustra libri e calendari. Espone le sue opere nel Triveneto e in Austria, sue opere si trovano in numerose collezioni provate  in California, Canada, Australia, Germania, Austria, Londra e Parigi oltre che in Italia.

Margot Di Lorenzo

Nata a Siracusa, discendente da nobili antenati inglesi e da bisnonna spagnola, è da sempre, già dall’infanzia, una sensitiva, una ESP (Extra Sensorial Perception), affascinata da luoghi cosiddetti magici ispiranti il senso del mistero. È disegnatrice  a matita nera, carboncino, china, caffè e bacchette che si costruisce essa stessa secondo le esigenze inerenti all’effetto estetico e semantico  di ciascuna opera ed è in continua ricerca e sperimentazione di nuove di tecniche con le quali riesce a raggiungere vere vette  espressive. Diventa fotografa d’arte già giovanissima, quando durante uno dei suoi soggiorni a Londra, le sue foto attirano l’attenzione di fotografi professionisti inglesi attratti dalle sue inquadrature naturali, dai suoi  giochi di luci ed ombre ottenuti dopo lunghe osservazioni e con tecniche adeguate. Il suo filone preferenziale è quello del mistero della natura, dei misteriosi messaggi che provengono da speciali configurazioni naturali per il possibile non forzate dalle tecniche, paesaggi di alberi, boschi, laghi e pozze nascoste, dirupi e molto altro, fiori tra cui soprattutto orchidee, messaggi che sa interpretare ed esprimere nelle sue fotografie d’arte in bianco e nero, il colore da essa prediletto quanto a risonanza semantico-emozionale. Ciò non toglie che produca anche fotografie d’arte a colori. Ha fatto numerose mostre  soprattutto nel Triveneto e in Inghilterra, oggi soprattutto a Londra e in Friuli..

Annamaria Fanzutto è nata a Buja (Udine), dove risiede e ha esercitato la professione di insegnante. Ha frequentato il laboratorio di Enore Pezzetta e di Maria Forte per l’arte del disegno, del modellaggio e della decorazione della ceramica, ha frequentato corsi in Italia e in Austria. Espone in numerose Mostre personali e collettive. È scultrice di fama ed anche acquarellista rinomata, nonché squisita pittrice ad olio e in acrilico. Le sue opere si trovano in varie collezioni private e pubbliche. Nel suo laboratorio è in costante ricerca di nuove tecniche della scultura e della pittura sempre più efficaci nel rendere anche le pieghe psicologiche più sottili intrinseche ai suoi sentimenti, alla sua visione del mondo, complessa e raffinatissima. Illustra con i suoi celebri acquarelli libri di poesie, racconti.

Oscar Francescutto è nato a Madrid e vive attualmente in Friuli, Tracento UD. Ha fondato la Galleria d’Arte ‘Fatti d’Arte’ a Gemona. È pittore surrealista metafisico sulla scia del grande Maestro Giorgio De Chirico. Espone in numerose Mostre nel Triveneto e in ulteriori regioni italiane, nonché all’estero. Di recente, tra gli altri riconoscimenti ha ottenuto la Menzione d’onore per l’opera “De La Tierra Roja”,esposta nella II Mostra d’Arte del Premio Franz Kakfka Italia® nel concorso Arts & Crafts Contest con pubblicazione sulla rivista d’arte statunitense “Anthology of Contemporary Visual Arts & Crafts”.

Marcello Franchin è nato a Cologna Veneta (VR) il 20.10.1973 e vive a Martignacco (UD). La sua fotografia d’arte predilige il bianco e nero per le profonde suggestioni che emanano dalle immagini riprodotte in questi colori e dalle loro sfumature ottenute sia con riproduzione del reale che tecniche adeguate al senso estetico dell’artista. Dopo alcune pubblicazioni su riviste di settore negli anni 2009/2010 e dopo aver dato alla luce il sito web dove pubblico le mie fotografie (http://www.marcellofranchin.altervista.org), nell’anno 2012 sono stato selezionato per partecipare alla mostra “Sperimentazioni di arte contemporanea in Friuli Venezia Giulia – sei artisti a confronto”, una collettiva di sei artisti di varie discipline (pittura, scultura, fotografia) tenutasi a Udine, nella quale ha presentato 15 fotografie relative al suo progetto del 2008 “Introspezioni Marine – osservazioni e sperimentazioni lungo la costa del Friuli Venezia Giulia”.

Nico Gaddi è nato e lavora a Grado. È fotografo d’arte, incisore, pittore e scultore di grande valore. E’ sua la scultura davanti al Palazzo Municipale sulla diga. La maggioranza delle sue sculture è eseguita con la tecnica dell’assemblaggio di materiali diversi quali vari tipi di legno, metalli, plastica, smalti ed altri, sculture che produce con passione e originale creatività nel suo studio a Grado. Anche la sua tecnica fotografica ha uno stile visivo particolare, basato sulla contrapposizione tra luce e buio degli ambienti lagunari.

Gianni Maran, è nato e vive a Grado GO. È stato allievo di Aldo Marocco a Grado e di Mauro Manuel Musiani. Oltre che pittore e scultore, è scenografo, costumista, e importante regista teatrale e cinematografico – ha vinto il primo premio con Ala de Vita quale miglior cortometraggio al Festival del corto di Reggio Calabria. Espone in numerose Mostre collettive e soprattutto personali in tutto il territorio nazionale in importanti Gallerie e spazi pubblici, con grandi consensi da parte del pubblico e della critica specializzata. Recentemente ha partecipato a esposizioni internazionali in: Brasile, Praga, Stoccarda, Helsinki, Istanbul, Copenaghen, Buenos Aires, Montevideo, Amburgo, Helsinki, Vilnius, Colonia, Vienna, Sydney e Dubai. Le sue opere sono presenti in importanti collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero. E’ presente nelle ultime edizioni del Catalogo generale dell’arte Moderna Mondadori nella Sezione Gli artisti italiani dal Primo Novecento ad oggi e nell’Enciclopedia d’Arte Italiana. È stato insignito dal Presidente della repubblica Giorgio Napolitano del premio di Rappresentanza. Ha ottenuto il Sigillo della Città di Aquileia per meriti artistici.

Marilena Mesaglio è nata e vive a Udine. Da diverso tempo si dedica alla pittura digita leda autodidattica attentissima alle tecniche più avanzate  ed utilizza non la penna grafica per i suoi disegni, bensì il mouse più adatto ad esprimere il contributo di simbologie consce e soprattutto inconsce alle sue opere. Così i suoi disegni sono oltremodo raffinati e significativi, producono emozioni in chi li guarda anche già alla prima occhiata. Partecipa a numerose Mostre personali e collettive  ottenendo ampi con sensi da parte di pubblico e critica specializzata.

Alberto Quoco  è nato a Udine, dove risiede ed opera. È fotografo d’arte e conta numerose ed importanti mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Ha conseguito moltissimi e prestigiosi primi premi nazionali ed esteri. Sue fotografie d’arte sono esposte stabilmente in musei ed anche alla Artist’s Gallery di New York. Sue opere sono presenti in molte collezioni pubbliche e private. È noto in particolare per i contenuti simbolici di cui riveste il reale fotografato con tecniche particolari, tra cui anche la tecnica della fotografia agli infrarossi in cui ottiene risultati semantico-emozionali sorprendenti, inoltre per le sue fotografie realizzate ed elaborate con complessi giochi di luce che trasfigurano il reale fino all’astratto. È vincitore in numerosi Concorsi nazionali ed internazionali.

Sergio Romano è nato a Roncade nel trevigiano e vive a Domanins, frazione di San Giorgio della Richinvelda in provincia di Pordenone. È pittore e mosaicista diplomato alla importante Scuola Mosaicisti di Spilimbergo. È stato allievo di Fred Pittino. Partecipa da sempre a importanti mostre nazionali ed internazionali personali e collettive. È pittore di impronta impressionista e realista e sa esprimere nei suoi dipinti grazie alla padronanza delle tecniche classiche del disegno e del colore forti sentimenti e complesse simbologie come mostrano i suoi ritratti, i suoi paesaggi e le sue nature morte ricche di significati simbolici. È noto per la sua ricerca nell’ambito dell’astratto cui si dedica già da tempo in misura sempre maggiore.

Savini Daniela, nata a Teramo nel 1975, risiede in San Giorgio di Mantova. Sin dall’infanzia ha dimostrato un forte talento nel disegno perfezionato al Liceo Artistico Statale di Teramo in cui ha conseguito il diploma e contemporaneamente l’attestato professionale di Decoratore di Ceramica. Ma ciò non le da soddisfazione e spinta alla ricerca di sé forse per colmare un vuoto interiore si trasferisce a Parma per frequentare Conservazione dei Beni Culturali, quindi un indirizzo completamente diverso più letterario, consegue la laurea e subito dopo il diploma in Archivistica, Paleografia e Diplomatica presso l’Archivio di Stato di Mantova ed infine per varie vicissitudini si trasferisce a Mantova. Di nuovo continua a provare un forte malessere esistenziale e quanto ha realizzato non è sufficiente, pertanto si decide a ritornare sui suoi passi e riprendere la sua vera naturale inclinazione nel fare artistico come mezzo e processo catartico di manifestazione – realizzazione dell’io. I suoi dipinti riflettono una visione del mondo articolata e profonda, ricca di fini risvolti simbolici. Importante tra le ulteriori prospettive artistiche sono la sua visione sia dell’uomo attuale la cui crisi di valori essa riflette nelle sue tele raffigurando un uomo non più sicuro di sé come un tempo, sia della donna attuale che acquisisce anch’essa nell’opera della Savini  tratti psicologici non più totalmente in linea con il suo passato.

Caterina Trevisan è nata a Gorizia, dove ha frequentato l’Istituto Magistrale. Inizia a studiare disegno, base essenziale del mestiere, con il prof. Alfred de Locatelli. Frequenta i corsi di pittura del Maestro Franco Manzoni, studiando specificamente la pittura impressionista, prendendo contatto diretto con il paesaggio come mezzo espressivo, ciò che le permetterà un approccio e un approfondimento verso la tecnica ad olio e la pittura dal vero. Con l’insegnante Bruna de Fabris si avventura nell’esperienza estetica e nelle tesi dei pittori avanguardisti astratti del primo Novecento e della metà del secolo scorso. Nei corsi di disegno e pittura del prof. Arias Gonano perfeziona le conoscenze acquisite in materia e soprattutto si immerga nella teoria del colore, arricchendo così la sua tavolozza di una forte tendenza espressionista, intraprendendo di conseguenza una ricerca stilistico-tecnica di espressione personale che le consentirà di realizzare lavori di singolare originalità. Ha partecipato a mostre collettive e personali con opere presenti in varie pubblicazioni e cataloghi in Italia e Slovenia, e collaborato all’illustrazione di un libro di poesie.
In ricordo del marito, ha dato vita all’Associazione culturale Concorso di Pittura “Dario Mulitsch”, che dal 2006 organizza un premio di pittura a livello internazionale.

Isabelle Turrini è pittrice ad olio ed in acrilico in Colle Rumiz Tarcento. Ama prevalentemente i paesaggi del Friuli di cui sa esprimere la sottile malinconia e l’austerità in cromie sobrie e pacate. Espone in diverse Mostre collettive e personali. Fa parte del gruppo di pittori che lavorano ed espongono nella Galleria Fatti d’Arte di Gemona.

Adriano Velussi è nato a Gorizia, dove risiede. Ha alle spalle finora numerosissime mostre personali e collettive in Italia, in Slovenia ed in molte città estere. I suoi temi di interesse convergono sia sul paesaggio e sulle figure umane riprodotte realisticamente, sia sul mondo dell’astratto in cui la sua creatività artistica si è soprattutto concentrata e si individua attualmente. Un ambito preferenziale tra gli altri, non unico, è l’ambito simbolico a sfondo religioso e spirituale, specificamente cristiano e cattolico dove raggiunge vere e proprie vette artistiche.

Ernesto Volpi è nato a Thiene VI. È pittore autodidatta che ha iniziato con copie d’autore quali paesaggi, nature morte e figurativi fin da giovane. È attualmente attivo nell’ambito dell’arredo e della moda come consulente tecnico presso grosse imprese. Privo di insegnamenti accademici ma con un riguardevole occhio all’arte, alla bellezza e all’eleganza delle forme e colori. Sia per lavoro che per propria iniziativa ha sempre viaggiato molto così che ha avuto modo di approfondire culture diverse dalla propria che riproduce realisticamente ed astrattamente nelle sue tele. È tenace ricercatore di nuove forme e nuove tecniche di pittura onde poter esprimere al meglio le sue sensazioni, la sua visione del mondo non conformistica, i suoi sentimenti.

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