Franz Kafka e l’abito da ballo
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di
Rita Mascialino
Franz Kafka apparteneva ad una famiglia benestante della comunità di lingua tedesca, il padre aveva nel centro di Praga un negozio di merci fini, tra cui accessori di moda. Dalle fotografie che ci restano Kafka appare vestito in modo elegante e signorile. La sua opinione sui suoi vestiti e sul suo aspetto era diversa. Riteneva di essere vestito male e di non stare bene con nessun abito. Preferiva portare sempre i soliti vestiti ormai vecchi che sentiva più consoni alle proprie spalle cascanti, alla propria schiena curva, alla propria paura di essere inadeguato ad abiti nuovi che avrebbero messo in maggiore evidenza la sua bruttezza, la sua rinuncia alla propria gioventù con le illusioni di bellezza e di gioia che essa reca con sé in generale. Così credeva. In realtà Kafka, con il suo corpo asciutto e il suo metro e ottanta, aveva un portamento elegante come emerge dalle fotografie che lo ritraggono e come supereleganti erano la sua sensibilità ed intelligenza. Gli abiti che indossava mettevano in evidenza, a dispetto della sua opinione svalutante il suo aspetto, proprio la sua eleganza o, più esattamente, era lui, era la sua personalità, la sua persona fine che li rendeva eleganti, un’eleganza che neanche la schiena curva e le spalle cascanti, per come si vedeva egli stesso o lo vedevano spregiativamente a casa sua, potevano intaccare. Si potrebbe addirittura dire senza cadere in un giudizio soggettivo che la sua eleganza venisse potenziata dal particolare portamento – l’eleganza, vorrei ricordare ed evidenziare, non è fattore di spina dorsale eretta a manico di scopa o di passo del pavone presuntuoso. Ad ogni modo, era venuto anche per il giovane Franz Kafka il momento di equipaggiarsi di un abito nero adatto alle cerimonie, alle feste, per il ballo, una competenza questa – o incombenza secondo l’ottica di Franz Kafka – di tipo sociale oltre che un divertimento per i giovani della sua epoca e del suo ceto.
Giunse quindi dal quartiere di Praga detto Nüsle il sarto, chiamato dalla madre per confezionare il necessario abito per occasioni sociali importanti, per necessarie lezioni di ballo e balli di società, utili anche ad allargare la cerchia di conoscenze e soprattutto per conoscere in tal guisa ragazze da marito adatte al rango della famiglia.
Ci si può facilmente immaginare l’attacco violento di complesso di inferiorità che si abbatté sulle spalle già curve di Kafka, come emerge dai suoi ricordi trascritti nel suo Diario del 2 gennaio 1912. Dovette accettare l’abito nero il cui colore aveva subito rifiutato. Rifiutò tuttavia il frack e optò per uno smoking. Uno smoking comunque con modifiche personali: se proprio ci doveva essere un tale abito, doveva essere chiuso e abbottonato in alto fino al collo. Un tale smoking tuttavia era sconosciuto al sarto che era certo comunque non potesse essere un abito da ballo. Mentre Franz Kafka, diversamente dal suo solito atteggiamento ritroso per abiti nuovi insisteva ormai su un tale abito impossibile, ma comunque nuovo, la madre, vista la mala parata, decise di andare con il figlio e con il sarto in un negozio dell’Altstädter Ring da un mercante di abiti vecchi nella cui vetrina il figlio aveva visto un abito che poteva corrispondere alle sue esigenze. Ma l’abito non c’era più. L’abito non si acquistò più. Così Kafka sentì di avere perduto per sempre l’opportunità di essere egli stesso elegante, di andare a feste da ballo, di incontrare ragazze, cosa che, ovviamente, malgrado la sua ritrosia, doveva essere evento gradito in cuor suo. Sfortuna quindi visto che l’abito che faceva al caso suo non c’era più? No. L’abito che Franz Kafka avrebbe accettato per sé, mostrava la chiusura più stretta al petto fino al collo, come a separare se stesso, il suo cuore soprattutto, dalle cose gioiose che sentiva riservate agli altri e dalle quali sapeva di essere già ormai escluso. La madre lo rimproverò per questo suo rifiuto facendo ricadere la colpa del suo rifiuto su di lui, non capendo che la colpa, se di colpa si trattava di qualcuno, non era del figlio Franz, ma del padre e dalla madre, della famiglia, dell’educazione impartita, dell’umiliazione della sua persona. Troppo già era stato umiliato a casa sua per poter ancora sentire dentro di sé il diritto ad essere felice come gli altri nel festeggiare la vita almeno nella gioventù, diritto alla felicità stroncato sul nascere dal padre e non sostenuto neanche dalla madre né dagli altri membri della famiglia. Finché fu troppo tardi per qualsiasi eventuale tentativo di Franz Kafka ad ogni felicità giovanile, come fu quello dell’abito da ballo ridotto, in apparenza da lui stesso, in realtà dall’effetto della considerazione paterna e familiare della sua persona, ad un abito che gridava vendetta nella sua spazialità di separazione da ogni possibile contatto fisico e della sua personalità con quella degli altri come rivelava la desiderata chiusura del petto a difesa del suo sé più personale. Si potrebbe obiettare che gli altri figli dei coniugi Kafka non ebbero conseguenze di questo genere nella loro personalità e che quindi Kafka aveva quella personalità di suo. Non è così. Il diverso contro cui accanirsi insensatamente non perdonandogli niente, nessuna diversità per quanto fosse spia di eccellenza, era solo Franz Kafka che senz’altro aveva pregi sconosciuti agli altri membri della famiglia. Gli altri fratelli erano persone comuni, che condividevano più o meno l’impostazione paterna della vita. Certo il padre non capì mai la grandezza del figlio, ma la sua costante disapprovazione del suo modo di pensare, di vivere, rivelava la possibile presenza inconscia ed inconfessata di un senso di invidia colossale nei confronti di un figlio così diverso da lui, così eccellente, del quale voleva a tutti i costi stroncare l’originalità e la straordinaria finezza mentale per renderlo a sua immagine e somiglianza, basso come lui. Ma Kafka, per il bene suo e dell’umanità, era immune dalla personalità del padre e tale rimase fino alla fine dei suoi giorni.
RM